PASTE next generation tools

È l’ultima evoluzione dell’editing genetico e servirà ad inserire decine di migliaia di lettere in siti prescelti del genoma con elevata efficienza e pochissimi errori

Il modello classico di CRISPR, quello premiato con il Nobel nel 2020, taglia entrambi i filamenti del DNA grazie alle affilate forbici molecolari dell’enzima Cas9. Disattivando parzialmente le forbici e aggiungendo alla Cas9 un altro enzima (retrotrascrittasi, RT) qualche anno fa è stato inventato il “prime editing” (descritto da OTA qui), che è più accurato ma può cambiare al massimo qualche decina di lettere. Ora a questi due pezzi è stato assemblato un terzo elemento (che sta per grande ricombinasi a serina, LSR). Il nuovo strumento a tre blocchi potrebbe rivelarsi utile per curare le malattie genetiche in cui non basta correggere un piccolo refuso ma è necessario sostituire un gene nella sua interezza.

L’ispirazione arriva ancora una volta dal mondo microbico e dalla guerra ancestrale in corso tra batteri e virus. Questi ultimi devono sfruttare le risorse dei loro ospiti per potersi replicare e hanno evoluto un armamentario di enzimi a questo scopo. Andare a curiosare in questa biodiversità molecolare, con l’aiuto della bioinformatica prima e degli esperimenti poi, è il miglior modo per trovare nuovi strumenti e nuove idee. Lo hanno fatto i ricercatori del MIT McGovern Institute for Brain Research passando in rassegna quasi duecentomila genomi batterici alla ricerca di enzimi da riconvertire in strumenti biotech di nuova generazione.

I ricercatori si sono concentrati, in particolare, sulle ricombinasi, degli enzimi che hanno grandi pregi e qualche difetto. Il vantaggio è che possono catalizzare l’inserzione di lunghi pezzi di DNA senza effettuare il taglio della doppia elica e senza dover fare affidamento sui naturali sistemi di riparazione della cellula per saldare la lesione. Evitare questo taglia-e-incolla è auspicabile, perché può causare mutazioni indesiderate e riarrangiamenti cromosomici. Lo svantaggio è che le ricombinasi naturali non sono molto efficienti e, soprattutto, non sono programmabili. In effetti hanno bisogno di un sito di atterraggio predefinito per poter operare, non possono essere indirizzate verso qualsiasi sequenza. Proprio la programmabilità, invece, è la caratteristica che ha reso CRISPR tanto popolare, perché basta una piccola molecola guida sintetizzata su misura per portare il sistema di editing nel punto desiderato dagli sperimentatori.

L’idea per quadrare il cerchio è venuta circa un anno fa al gruppo di David Liu, già inventore di diversi strumenti CRISPR di seconda generazione tra cui il prime editing. Più recentemente è stata sviluppata, e pubblicata sempre su Nature Biotechnology  (Drag-and-drop genome insertion of large sequences without double-strand DNA cleavage using CRISPR-directed integrases), da due ex allievi di un altro pioniere di CRISPR, Feng Zhang: Jonathan Gootenberg e Omar Abudayyeh. Consiste nell’affiancare una ricombinasi al prime editing (nella ricetta Liu) o nel fonderli (secondo la ricetta Gootenberg-Abudayyeh) per ottenere un sistema a tre blocchi: la ricombinasi, la retrotrascrittasi e l’enzima programmabile di CRISPR modificato per graffiare un solo filamento anziché per reciderli entrambi (nickasi).

In questo modo l’editing non è più soltanto correzione di refusi ma diventa scrittura vera e propria del DNA, attraverso tre passaggi. Uno: CRISPR va a bersaglio, posizionandosi come un cursore nel punto giusto del testo. Due: la retrotrascrittarsi inserisce una breve sequenza (meno di 50 lettere) che funziona come sito di inserzione per il grosso del testo da importare. Tre: la ricombinasi riconosce il sito e inserisce la sua integrazione al testo, che può essere equivalente a un intero paragrafo, lungo decine di migliaia di lettere. La tripletta di enzimi, dunque, è costituita da una variante di CRISPR accessoriata con due effettori, il primo dei quali prepara il terreno al secondo. Nel loro insieme questi tre elementi costituiscono un nuovo strumento chiamato PASTE, che nel linguaggio comune significa incollare ma è anche un acronimo ad hoc (sta per “programmable addition via site-specific targeting elements”). In pratica il taglia-e-incolla è diventato incolla-senza-tagliare (e fallo pure in grande).

Per trovare le triplette più affiatate il gruppo del MIT ha provato molte combinazioni diverse raggiungendo, in questo tour de force, tassi di efficienza variabili dal 2 al 60% e arrivando a inserire segmenti di DNA lunghi 36.000 basi. Anche se non si esclude di poter effettuare inserzioni ancora più estese. I geni umani possono essere molto grossi, ma per gli usi terapeutici non sarebbe necessario includere le parti non codificanti, perciò PASTE può ambire a sostituire in blocco una copia difettosa di un gene con una copia funzionante. Se i difetti da correggere lungo un gene sono numerosi, infatti, non ha senso intervenire in modo mirato lettera per lettera, meglio fornire l’intero blocco, come si fa con la terapia genica classica ma con il vantaggio di poter scegliere il punto di atterraggio del gene sano nel genoma.

Tra le ipotesi applicative che vengono esplorate ci sono la fibrosi cistica e l'emofilia, ma anche la malattia di Huntington dove è necessario rimuovere una sfilza di sequenze ripetute. Comunque è bene ribadire che la tecnologia non è ancora pronta a fare il salto nella clinica. Per ora i ricercatori hanno soltanto iniziato a testarla in laboratorio, sia ex vivo che in vivo, ovvero sia su cellule coltivate (linfociti ed epatociti umani) sia all’interno del corpo di cavie animali (fegato di topo).

 

 

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