Dalle terapie avanzate nuovi trattamenti per la SCID-X1: i trial clinici sulla terapia genica proseguono e CRISPR sta aprendo nuovi orizzonti.
In passato i piccoli pazienti affetti da un’immunodeficienza combinata grave (SCID) venivano chiamati “bambini bolla” perché, a causa dell’incapacità di difendersi dagli agenti infettivi, sono costretti a vivere isolati e in ambienti con aria filtrata per evitare di contrarre anche le più banali infezioni, che potrebbero essergli fatali. L’innovazione della ricerca scientifica, dalla terapia genica a CRISPR, sta aprendo le porte a un futuro in cui potrebbe essere possibile trattare efficacemente le SCID, tra cui l’immunodeficienza combinata grave legata all’X (SCID-X1).
Questa patologia è causata da una mutazione sul gene IL2RG e si manifesta solo nei maschi (1 su 200.000), dato che la trasmissione è legata al cromosoma X. Provoca elevata sensibilità alle infezioni, ritardo nello sviluppo e diarrea cronica e, se non trattata, è fatale nei primi anni di vita.
Sebbene la terapia genica per la SCID-X1 abbia portato ottimi risultati, è di fondamentale importanza continuare a sviluppare strategie alternative ed efficaci per poter avere, in futuro, molteplici opzioni terapeutiche e rispondere nel modo più adatto alle diverse esigenze dei pazienti. Con la diffusione della tecnica di editing genomico CRISPR, le modifiche genetiche su cellule staminali ematopoietiche potrebbero essere più precise ed efficienti.
Il protocollo messo a punto dai ricercatori all’Istituto San Raffaele-Telethon (SR-Tiget), pubblicato sulla rivista Cell lo scorso marzo, prevede di sottoporre le cellule prelevate dai pazienti a una scarica elettrica (elettroporazione) per far entrare i vari componenti del sistema di editing genomico e correggere la mutazione. Tra questi, anche un trascritto per la produzione di una molecola in grado di inibire la proteina p53. Quest’ultimo elemento è stato a lungo studiato, perché in ricerche precedenti è stato visto che p53 può indurre il suicidio delle cellule editate, vanificando il processo di editing. Oltre a CRISPR, è stata usata la tecnica a “dita di zinco”, una tecnologia di qualche anno fa ma ancora efficace e anche più conosciuta, ed entrambe funzionano bene in questo procedimento su cellule ex vivo.
In un altro studio, firmato dalla Stanford University, i ricercatori hanno prelevato campioni di cellule da 6 pazienti affetti da SCID-X1 e, dopo aver modificato geneticamente le cellule staminali ematopoietiche e averle trapiantate in modelli murini, hanno visto che il gene ha ripreso a funzionare correttamente. CRISPR è stato utilizzato per tagliare il DNA e inserire una copia sana del gene IL2RG nelle cellule staminali ematopoietiche nelle cellule prelevate dai pazienti. Per la prima volta, i topi che hanno ricevuto le cellule modificate hanno iniziato a produrre linfociti senza effetti collaterali rilevabili. È una strategia innovativa e non presenta anomalie per la sicurezza nei modelli preclinici. Questo è confermato dal fatto che, dopo aver svolto un’analisi genetica approfondita, non sono stati trovate modifiche “off target”, uno degli effetti collaterali più temuti con l’utilizzo dell’editing.
Il salto dalla preclinica alla clinica non è scontato, ma i dati ottenuti sono promettenti e trial clinici futuri potrebbero includere anche CRISPR.