Macro-delezioni, riarrangiamenti e perdita di un cromosoma: tre studi pubblicati su bioRxiv hanno descritto grossi problemi riguardo all’editing genomico sugli embrioni umani
La scienza non è fatta di dati e nozioni inconfutabili: man mano che la ricerca prosegue le informazioni cambiano, le tecniche migliorano e le scoperte fanno evolvere il sapere. Parlando di CRISPR, il rischio più discusso è da tempo quello delle mutazioni indesiderate cosiddette “off target”, cioè lontane dal sito di azione del meccanismo di editing. Studi più recenti hanno però evidenziato il rischio di grosse anomalie indesiderate vicino all’obiettivo. I dati, pubblicati su bioRxiv e non ancora sottoposti a peer review, hanno messo in guardia il mondo scientifico sulle possibili conseguenze dell’utilizzo della tecnica di editing genomico su embrioni umani.
Attualmente, le conoscenze sui meccanismi di riparazione del DNA sono ancora troppo limitate per poter modificare in tranquillità il materiale genetico in un embrione. L’idea è quella di usare l’editing genomico per inserire una mutazione in una fase precoce di sviluppo, affinché essa sia presente in tutte le cellule dell’organismo, comprese quella della linea germinale. Così, oltre a creare un organismo geneticamente modificato, la mutazione inserita sarà anche ereditata della generazione successiva, entrando in modo permanente nella genetica di quella famiglia, con tutte le riflessioni bioetiche del caso. L’applicazione di CRISPR alle cellule somatiche, invece, permette di modificare solo quei tessuti specifici, eliminando la componente ereditaria e riducendo i rischi legati alla trasmissione della mutazione. Nel caso dell’editing sulla linea germinale, gli esperimenti sono pochi e limitati alla preclinica e solo uno scienziato al mondo si è spinto oltre il confine portando alla nascita due gemelline da embrioni editati (ne abbiamo parlato qui e qui). Sull’altro versante, la manipolazione di cellule somatiche con CRISPR ha dato finora buoni risultati sia negli studi preclinici che sull’uomo, pur essendo un ambito di ricerca molto recente.
I primi esperimenti con CRISPR sugli embrioni umani risalgono a cinque anni fa e in questi anni i passi avanti sono stati numerosi, ma queste ultime ricerche sottolineano quanto poco si sappia di come l’embrione umano si difenda dai danni al DNA causati dal sistema di editing genomico. CRISPR riconosce il sito bersaglio grazie all’RNA guida e lo taglia grazie all’enzima Cas, ma gli ultimi dati mostrano che il sistema di editing non si limita a correggere la mutazione obiettivo: a causa dei meccanismi di riparazione cellulari crea scompiglio genetico nelle vicinanze. Sono state riscontrate varie tipologie di danno conseguenti alla rottura del DNA e ai processi di riparazione, tra cui macrodelezioni, riarrangiamenti più o meno ampi, traslocazioni e anche perdita di un cromosoma. Gli studi su bioRxiv che si sono occupati di questo problema sono tre e ne hanno parlato anche su Nature.
Lo studio del Francis Crick Institute di Londra
A inizio giugno è stato pubblicato lo studio firmato da Kathy Niakan che, assieme ai colleghi, ha usato Crispr-Cas9 per inserire mutazioni nel gene POU5F1, il cui ruolo è importante nello sviluppo, in 18 embrioni rimasti inutilizzati dalle pratiche di fecondazione assistita e donati alla ricerca scientifica. Sono state trovate modifiche indesiderate, che interessavano ampie porzioni di DNA attorno al gene bersaglio, nel 22% delle cellule embrionali umane. Tra queste modifiche sono state rilevate riarrangiamenti e delezioni anche di migliaia di basi di DNA.
Lo studio della Oregon Health & Science University
Il gene bersaglio del gruppo della Oregon Health & Science University è MYH7 ed è collegato alla cardiomiopatia familiare ipertrofica. In questo studio è stato evidenziato che il 40% delle correzioni trovate era causato da un fenomeno chiamato conversione genica, nel quale il processo di riparazione del DNA copia la sequenza da un cromosoma per aggiustare il suo omologo. In tutti gli altri embrioni sono state rilevate delle anomalie.
Lo studio della Columbia University
Il terzo studio è quello condotto dai ricercatori della Columbia University. In questo caso l’obiettivo dell’editing genomico era EYS, gene coinvolto nella retinite pigmentosa, una malattia degenerativa che colpisce l’occhio. Il lavoro ha dimostrato che a seguito della rottura del doppio filamento di DNA indotta da Cas9, nella metà degli embrioni trattati le lesioni non vengono riparate con conseguenti danni durante il processo di divisione cellulare. Ad esempio la perdita di alcune parti o di tutto il cromosoma su cui si trova EYS.
In passato erano già state fatte sperimentazioni su embrioni di topo e su altre cellule umane con risultati simili, ma era necessario dimostrarlo anche su embrioni umani dato che cellule diverse rispondono in modo differente. Questi studi, anche se non ancora sottoposti a revisione e pubblicati su riviste scientifiche di settore, possono far riflettere sui rischi non noti dell’editing genomico in generale, anche per quanto riguarda le sperimentazioni di editing su cellule somatiche già in corso.
Per il momento, la gran parte delle terapie avanzate sono applicate in clinica per il trattamento di malattie rare o di patologie molto gravi e spesso senza speranze, cosa che in parte giustifica i rischi intrinseci dell’applicazione di una nuova tecnica. Ovviamente, poter correggere una mutazione patogena direttamente nell’embrione potrebbe eliminare il rischio di terribili patologie, ma le implicazioni bioetiche sono molte e i rischi sono ancora troppi.