Dopo il successo della terapia genica “made in Italy”, dalla Spagna arrivano risultati preclinici promettenti con l’editing genomico
Un recente studio, frutto di una collaborazione tra diversi gruppi di ricerca spagnoli, ha dimostrato che l’editing genomico è in grado di correggere una mutazione che causa una forma di epidermolisi bollosa. Lo studio, pubblicato su Molecular Therapy, sembrerebbe essere un punto di partenza per la possibile applicazione di CRISPR in clinica.
Il termine epidermolisi bollosa indica un gruppo di malattie genetiche che colpiscono cute ed epiteli con gravità variabile. L'epidermide, in mancanza di una proteina, non si lega al derma sottostante e questa rara patologia comporta un progressivo “scollamento” della pelle con la formazione di bolle e ulcere. La pelle diventa quindi molto fragile e con il minimo trauma si sgretola, proprio come le ali di una farfalla.
Da qui il termine “bambini farfalla” per quei bambini colpiti da questa grave patologia. In questo ambito, le terapie avanzate rappresentano l’unica possibile soluzione. Risale al 2015 l’impresa di Michele De Luca e Graziella Pellegrini, del Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, che sono riusciti a ridare nuova pelle ad Hassan, un bambino siriano affetto da epidermolisi bollosa giunzionale (JEB), con il trapianto della pelle generata in laboratorio a partire dalle sue cellule staminali modificate con terapia genica per fornire il gene LAMB3. Un successo a livello mondiale i cui risultati sono stati pubblicati nel 2017 sulla rivista Nature.
L’epidermolisi bollosa distrofica recessiva (RDEB), un’altra grave forma di epidermolisi bollosa causata dalla perdita di funzione del gene COL7A1, che codifica per il collagene di tipo VII. Il collagene è la proteina più abbondante nei mammiferi ed è responsabile della forza e del supporto ai tessuti connettivi del corpo umano, tra cui la pelle, le ossa, i tendini e i legamenti. Nello specifico, una carenza di collagene di tipo VII - che in condizioni normali mantiene l’adesione tra derma ed epidermide - causa vesciche della pelle e delle mucose interne, cicatrici, fibrosi, deformità a mani e piedi (tra cui la pseudo-sindattilia, cioè la fusione delle dita) e un elevato rischio di sviluppare un carcinoma a cellule squamose. Attualmente, più di 650 mutazioni sul gene COL7A1 sono associate a diversi sottotipi di RDEB.
Gli autori dello studio hanno utilizzato lo strumento di editing genomico CRISPR/Cas9 per eliminare l’esone 80 del gene COL7A1, cioè il segmento che contiene una delle mutazioni patogene legate alla malattia. La mutazione sull’esone 80 è stata scelta come obiettivo perché è una tra le più diffuse, specialmente nella popolazione di riferimento, quella spagnola (e lo è anche tra i pazienti latino-americani). Questa eliminazione porta alla produzione di una variante di collagene di tipo VII funzionale nella sperimentazione ex vivo con le cellule prelevate dai pazienti. In modelli preclinici è stato visto che il trapianto di pelle bioingegnerizzata con cellule sottoposte a editing può rigenerare un tessuto normale. Quando i cheratinociti (le cellule più abbondanti della pelle) sono stati modificati geneticamente con delezione dell’esone 80, hanno ripristinato l’espressione del collagene di tipo VII e, dopo trapianto su topi immunocompromessi, hanno mantenuto la correzione. Eliminare segmenti di geni non è una cosa da poco: la delezione potrebbe comportare alterazioni strutturali delle proteine, in questo caso di un sottotipo di collagene, ed è quindi fondamentale valutare la funzionalità di ciascuna variante. Questo è stato fatto per diversi esoni ed è stato visto che l’eliminazione dell’esone 80 risultava nella produzione di una variante funzionale con una buona capacità di rigenerazione cutanea.
In precedenza, i ricercatori avevano usato il sistema di editing chiamato TALEN (Transcription activator-like effector nuclease), il quale sfrutta enzimi di restrizione artificiali che tagliano il DNA in punti di interesse, definiti da una sequenza specifica. Questo permette di fare editing, anche se ha alcuni limiti legati all’inserimento di errori, dato che il taglio sul DNA viene riparato in modo autonomo da meccanismi cellulari. Con TALEN è stata prodotta una variante funzionale nell’1% circa delle cellule staminali isolate e analizzate. Questi dati non erano sufficienti per l’applicazione clinica, ma hanno spinto i ricercatori a cercare un’altra strategia più efficiente basata sull’asportazione mirata dell’esone 80. La soluzione è stata trovata in CRISPR/Cas9.
Il protocollo messo a punto dal gruppo di ricerca ha portato al ripristino del collagene di tipo VII in quasi l’85% dei cheratinociti prelevati da pazienti affetti da RDEB, senza tossicità evidente. CRISPR/Cas9 non è stato trasferito all’interno delle cellule sfruttando vettori virali come spesso accade, ma la nucleasi Cas9, assieme al suo RNA guida, è stata fornita sotto forma di ribonucleoproteina (RNP) mediante elettroporazione, cioè sottoponendo le cellule ad un impulso di corrente ad alto voltaggio che produce una momentanea apertura dei pori della membrana. Questo ha permesso di risolvere i limiti di utilizzo degli strumenti di editing in alcune cellule più difficili da raggiungere in modo proficuo, tra cui proprio quelle della pelle. Inoltre, il sistema di trasferimento utilizzato ha dimostrato di avere azione rapida, di limitare la permanenza di CRISPR nel nucleo (cosa che riduce la probabilità di agire fuori bersaglio), oltre ad avere una maggiore efficienza come percentuale di cellule modificate efficacemente. Non sono stati trovate modifiche “off target”, uno degli effetti collaterali più temuti del sistema CRISPR, nemmeno con il sequenziamento genico di un gran numero di siti a rischio identificati grazie ad analisi in silico. Ultima cosa, ma non meno importante, la delezione dell’esone 80 è stata precisa ed efficiente.
La sperimentazione preclinica su modelli murini immunocompromessi ha dimostrato la capacità di rigenerazione cutanea a lungo termine delle cellule sottoposte a editing. Complessivamente, i risultati dello studio forniscono prove precliniche convincenti dell’efficacia di un approccio di editing genomico ex vivo utilizzando CRISPR/Cas9. Questa strategia sembrerebbe avere tutte le carte in regola per far fare a CRISPR un piccolo passo avanti verso la sperimentazione clinica.