L'Alliance for Regenerative Medicine invita a ricorrere agli strumenti legislativi a disposizione per facilitare ai pazienti l’accesso in Europa alle terapie e abbattere le barriere nazionali.
Partire con il piede giusto nella costruzione di un’ Europa più solida e coesa è fondamentale specie quando si fa riferimento alla sfera della salute e, in modo ancora più particolare, quando si affronta il tema delle malattie rare. In questo senso le differenze legislative e regolatorie tra i vari stati devono ridursi a zero in favore di una gestione del paziente universale e armonica sotto il profilo clinico e terapeutico. Tale è, infatti, uno degli obiettivi dell’Alliance for Regenerative Medicine (ARM) che, con la pubblicazione di un documento sugli accessi regionali alle terapie avanzate, invita a una profonda riflessione. Ne parliamo con Michela Gabaldo, Responsabile Alleanze Industriali e Affari Regolatori di Fondazione Telethon, che ha contribuito ad un’analisi dei percorsi legali descritti nel documento.
VALORIZZARE L’ESPERIENZA
L’impulso più forte ad avviare una discussione che coinvolga tutti gli interlocutori, comprese le case farmaceutiche che sviluppano terapie avanzate, trova ragione nell’impossibilità di somministrare tali terapie ai pazienti affetti da patologie rare o ultra-rare secondo il tradizionale sistema di erogazione dei farmaci, cioè in ogni ospedale di qualsiasi stato o regione. “La complessità intrinseca dei nuovi trattamenti che ricadono nella sfera delle Advanced Therapy Medicinal Products (ATMP) richiede che il personale dei centri erogatori sia stato adeguatamente formato e che i centri stessi siano qualificati anche dalle stesse aziende produttrici”, spiega Michela Gabaldo, Responsabile Alleanze Industriali e Affari Regolatori di Fondazione Telethon. “Quando parliamo di malattie rare non possiamo prescindere dalla competenza di medici e specialisti che sappiano gestire non solamente la malattia ma anche le eventuali complicanze che dovessero derivare da un trattamento con ATMP correlate alla specifica malattia”. Inevitabilmente, tutto ciò implica che le competenze - ma anche le risorse terapeutiche - siano concentrare in pochi centri di eccellenza distribuiti su tutto il territorio europeo. Non è, infatti, utile e nemmeno credibile che il bagaglio conoscitivo ed esperienziale derivato dallo studio e dall’impiego delle terapie avanzate, come la terapia genica, la terapia cellulare o l’editing genomico, possa essere sparpagliato in tante strutture periferiche di tutti i Paesi europei. E pertanto - come recita l’antico adagio popolare “se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà da Maometto” - occorre lavorare per far muovere i pazienti in maniera facilitata e pratica, per garantire a tutti un capillare accesso a queste innovative terapie, sempre in condizioni di elevata sicurezza e qualità del servizio offerto.
I PERCORSI DISPONIBILI: REGOLAMENTO E DIRETTIVA
“Partendo da questo presupposto abbiamo eseguito un’analisi dei percorsi legali grazie ai quali possiamo accogliere in ospedali come il San Raffaele di Milano pazienti da tutta Europa ma supportati dai loro sistemi sanitari nazionali”, prosegue Gabaldo. “In tal maniera i costi del trattamento e dell’intero percorso clinico possono essere sostenuti dai sistemi sanitari di origine dei pazienti stessi”. Infatti, come si legge nel documento diffuso lo scorso 27 gennaio da ARM “i cittadini europei possono essere trattati in qualsiasi Paese d’Europa e rimborsati per le spese sostenute, o per una parte di esse, se il trattamento di cui necessitano non sia disponibile nel loro Paese d’origine”. Ciò che sembra già scontato sulla carta non corrisponde però sempre alla realtà. Esistono, infatti, due percorsi molto diversi che i pazienti possono usare: il Regolamento Europeo (con le Leggi 883/2004 e 987/2009) e la Direttiva Europea (nello specifico la 2011/24). Si tratta di due percorsi che presentano differenze evidenziabili già a cominciare dalla loro stessa natura legale. Il Regolamento, infatti, una volta emanato dalla Commissione Europea e reso operativo deve essere implementato in maniera automatica in ogni singolo stato senza alcun cambiamento mentre la Direttiva può essere recepita all’interno della legislazione nazionale degli stati membri. Ciò consente una differenziazione su base nazionale che il Regolamento non prevede.
“Con il Regolamento sancito nelle Leggi 883/2004 e 987/2009 il sistema sanitario di un Paese paga direttamente la nazione in cui il paziente va a farsi curare, come se questi fosse assicurato nel suo Paese d’origine”, specifica l’esperta. “Volendo fare un esempio, se un paziente tedesco venisse in Italia per essere trattato con un farmaco come Strimvelis - la terapia genica per l’ immunodeficienza grave combinata da deficit di adenosina deaminasi (ADA-SCID) - grazie a questo Regolamento per essere inviato al San Raffaele di Milano necessiterebbe solamente della Prior Authorization (Form S2), un documento di circa un paio di pagine sul quale sono riportati il nome del paziente, del centro clinico e del medico che lo tratterà, oltre ai dettagli dell’ente assicurativo che rimborserà le spese. Il paziente non anticipa alcuna somma di denaro e deve solo recarsi nel centro riportato sul modulo, l’unico dove possa ricevere un trattamento per la sua patologia, proprio perché tale trattamento non è disponibile nel suo Paese di origine”. Questo modulo è unico e vale per tutti gli stati dell’Unione Europea. “Un aspetto non trascurabile è che il Paese che invia il proprio paziente (l’ipotetica Germania dell’esempio precedente, n.d.r.) pagherà la tariffa del farmaco stabilita dal Paese che riceve il paziente ed eroga la terapia”, riprende Gabaldo. L’unica limitazione è che, secondo il Regolamento, il trattamento può essere erogato solo in centri pubblici o in centri privati convenzionati con il servizio pubblico.
“Una Direttiva come la 2011/24, invece, nasce su una base differente e offre la libertà a qualsiasi paziente che sia cittadino Europeo di farsi curare in Europa dove lo ritenga più opportuno”, prosegue Michela Gabaldo. “È la cosiddetta assistenza indiretta perché, in questo caso, il paziente deve anticipare la somma per il trattamento e richiedere un rimborso una volta rientrato nel proprio Paese. La Direttiva non richiede alcuna autorizzazione ad eccezione dei percorsi terapeutici che prevedono una lunga fase di ospedalizzazione con permanenza all’estero per periodi prolungati e trattamenti con costi elevati”. Esiste un’altra differenza tra questo percorso legislativo e il precedente. “Ritornando all’esempio di prima: se un paziente tedesco, pur disponendo di una terapia innovativa nel proprio Paese, scegliesse di venire in Italia a farsi curare il suo Paese gli rimborserebbe la tariffa tedesca del farmaco in questione”, spiega ancora l’esperta veronese. “Se questa fosse più bassa di quella del Paese dove si esegue il trattamento il paziente ci rimetterebbe sul piano economico, al contrario, se il prezzo fosse più basso in Italia, al paziente sarebbe rimborsato solo quello che ha effettivamente pagato per la terapia”. Purtroppo, per quello che riguarda le terapie avanzate l’opzione normativa promossa dalla Direttiva è impraticabile perché i costi di queste terapie sono così elevati che per un paziente è impossibile anticiparli di tasca propria. Occorre, dunque, stimolare azioni per aggirare l’ostacolo.
LE RACCOMANDAZIONI DI ARM
“Grazie al Regolamento in tre anni al San Raffaele di Milano sono stati trattati con Strimvelis quattro pazienti europei affetti da ADA-SCID, provenienti da Germania e Francia”, afferma Gabaldo. “È un numero troppo basso, anche considerando la rarità della malattia. Pur essendo disponibile un farmaco registrato e potenzialmente curativo, i pazienti non vengono inviati in Italia e ciò accade perché nella maggior parte dei casi i medici non sono a conoscenza dell’esistenza dei suddetti percorsi nomativi. Per tale ragione è richiesto un intervento a livello europeo”. Occorre, dunque, promuovere iniziative transnazionali che limitino le singolari interpretazioni di uno stato e facilitino l’attivazione di questi percorsi. “Il primo punto sottolineato nel documento diffuso da ARM consiste nel suggerire la creazione di un gruppo di coordinamento a livello europeo che si occupi di identificare i centri clinici con profonda esperienza in materia di terapie avanzate, già formati e autorizzati per la somministrazione di questi farmaci e che possano poi aiutare a centralizzare l’approvazione della Prior Authorization (Form S2). Ciò permette di aver un accesso rapido alle terapie”, conclude Gabaldo. “In seconda istanza, per Paesi che sfruttino il sistema dei fondi regionali come l’Italia o la Spagna la proposta è creare, a livello nazionale, un unico punto di contatto che coordini il dialogo con coloro che erogano i fondi a livello regionale e ne definisca un percorso univoco per l’accesso. Infine, ARM raccomanda una costante armonizzazione a livello europeo della valutazione dell’Health Technology Assessment – HTA (la valutazione delle tecnologie sanitarie), stabilendo un passaggio unico che non debba trovare ogni volta conferma a livello dei singoli stati membri o delle singole regioni”.
Esiste, dunque, una legislazione utile che permette di abbattere i confini tra gli stati membri dell’Unione Europea ma è necessaria un’azione centrale forte e decisa per farla conoscere e applicare, richiamando le autorità nazionali ad usarla nella maniera migliore. Ciò che viene descritto con i Regolamenti e le Direttive è quanto di più lontano possibile dal concetto di turismo sanitario perché i malati rari non hanno altra scelta che spostarsi verso i centri esperti e competenti che, logicamente, non hanno una distribuzione capillare sul territorio europeo. Puntare sulle competenze e investire per mantenerle non è più una scommessa, è una realtà concreta che deve trovare l’appoggio delle compagnie farmaceutiche e il sostengo dei governi. Solo così si potranno davvero tutelare tutti i pazienti, specialmente quelli affetti da malattie rare.