“Semplificazione delle procedure e accorciamento delle tempistiche sono soluzioni valide per le terapie avanzate ma servono anche competenze e senso di prospettiva”, Michela Gabaldo (Telethon)
La pandemia di COVID-19 non è ancora stata superata ma già ci si interroga sugli insegnamenti che ci sta consegnando, specialmente alla luce del fatto che in tredici mesi la ricerca scientifica ha saputo elaborare non uno bensì più vaccini contro il nuovo virus. Se si considera che ci vogliono fino a dieci anni per portare sul mercato un nuovo farmaco è impossibile non esultare per un tale risultato e diventa legittimo chiedersi quali delle procedure di emergenza adottate possano essere mantenute e applicate nel campo delle terapie avanzate. A questo proposito, in un interessante articolo pubblicato a fine maggio su Nature Italy - la versione italiana della celebre rivista scientifica - Michela Gabaldo, Responsabile Alleanze Industriali e Affari Regolatori di Fondazione Telethon, individua alcuni punti su cui vale la pena fare una riflessione.
CREARE COMPETENZA
“Le terapie avanzate che hanno indicazioni per malattie rare - e, ancor più, per quelle ultrarare - necessitano di un livello di competenza non facilmente reperibile all’interno di tutti i comitati etici nazionali”, afferma la dott.ssa Gabaldo. “Questo perché sotto il cappello delle terapie avanzate è conglobato un eterogeneo insieme di prodotti che spazia dalle terapie cellulari alla terapia genica, fino ai prodotti di ingegneria tessutale. Ognuno di essi presenta particolarità diverse e solleva problematiche di sviluppo e sicurezza per le quali sono richieste competenze specifiche”. Dare per scontato che un esperto di terapia genica lo sia anche nella valutazione di un prodotto di ingegneria tessutale rischia di essere un errore grave almeno quanto quello di supporre che un comitato etico preposto alla valutazione di una terapia convenzionale possieda anche le qualifiche idonee a decifrare la complessità di una terapia avanzata.
“Il nuovo Regolamento degli studi clinici riconosce che esistono tempistiche univoche a livello europeo per la revisione dei dossier per attivare i trial ma maggiorate soltanto per le terapie complesse, vale a dire per le terapie avanzate”, prosegue Gabaldo. “Ad esse va, pertanto, riconosciuto un livello di complessità che esige tempistiche di valutazione differenti dalle altre terapie tradizionali”. Ciononostante, per i medici - e ancor più per i pazienti che non possono farne a meno - l’accesso a una terapia salvavita, anche in fase sperimentale, dovrebbe essere rapido e tempestivo. “Il percorso di approvazione di un farmaco rimane quello ben noto ma per accorciare i tempi continuando a garantire la qualità occorre produrre competenze diversificate”, precisa Michela Gabaldo. “Disporre di figure che partecipino alla revisione di tutti i prodotti nelle diverse fasi di sviluppo concorre alla creazione di un bagaglio culturale tale da poter individuare rapidamente e con efficienza eventuali punti deboli della terapia e suggerire interventi mirati nell’ottica della sicurezza del paziente o dell’efficacia della terapia stessa”.
Ciò richiama alla mente il suggerimento di un gruppo di ricercatori appartenenti all’Associazione Farmaceutici dell’Industria (AFI), alla Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI), al Gruppo Italiano Data Manager (GIDM) e alla Società Italiana di Medicina Farmaceutica (SIMeF) che, in un editoriale apparso sulla rivista italiana Tumori Journal, ha fatto il punto su ciò che di buono è stato fatto per fronteggiare il COVID-19 nel settore della ricerca clinica. La prima indicazione è appunto relativa alla semplificazione delle procedure di approvazione con il mantenimento di un Comitato Etico Unico Nazionale specializzato per la valutazione di studi clinici tematici (per esempio farmaci orfani o terapie avanzate), tanto a carattere interventistico che osservazionale. Una possibilità, peraltro, contemplata dal Regolamento Europeo 536/2014 “Regulation of the European Parliament and of the Council on Clinical Trials on Medicinal Products for Human Use”.
INCENTIVARE IL DIALOGO
“Tutto ciò presuppone un’attenta pianificazione degli studi clinici fin dall’inizio in chiave traslazionale con un dialogo precoce tra gli enti regolatori e la comunità scientifica”, spiega Gabaldo. “Da una parte, infatti, si instaura il dialogo con l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) attraverso cui si discute il piano di sviluppo clinico di una terapia avanzata, dall’altra occorre lavorare sin dalla fase pre-clinica insieme alle autorità nazionali (nel caso dell’Italia, con l’Agenzia Italiana del Farmaco - AIFA) per discutere i vari punti del piano di sviluppo di un prodotto”. Nel caso delle terapie avanzate si genera un ritardo nelle fasi decisionali dal momento che si è presto compreso che l’ingresso in clinica delle terapie provenienti dal mondo accademico deve realizzarsi con un prodotto scalabile in termini di volumi e facilmente soggetto al processo di industrializzazione così da poter rimanere a lungo sul mercato.
Ciò implica però comprendere quale sia il loro valore. “Le terapie avanzate presentano peculiarità uniche nel loro genere associate a punti di fragilità ancora da esplorare”, continua Gabaldo. “Per tale ragione non è pensabile ricorrere ai vecchi modelli di valutazione farmaco-economica ma bisogna elaborarne di nuovi, personalizzati e capaci di riconoscere e valutare tali peculiarità. La definizione del prezzo è un aspetto successivo, prima bisogna attribuire il corretto valore a queste terapie e per farlo bisogna aprirsi a nuovi orizzonti culturali. È importante superare la visione nazionale di accesso ai farmaci e ragionare a livello europeo”.
GUARDARE OLTRE I CONFINI
Disporre di strutture di produzione adeguate - anche al di fuori dei confini nazionali - è un prerequisito fondamentale per il successo della terapie avanzate ma la semplificazione nelle procedure di accesso da parte dei pazienti è un passaggio ancora più delicato. “Nel caso di una malattia ultrarara, ad esempio l’ADA-SCID, il numero di pazienti che ogni anno vengono trattati con la terapia genica (Strimvelis, N.d.R) è molto basso”, precisa la dott.ssa Gabaldo. “È l’unica terapia disponibile per questa gravissima malattia ed è un trattamento salvavita perciò deve essere disponibile a livello di tutti gli Stati d’Europa. Ma per una presa in carico efficace dei pazienti con ADA-SCID servono centri di eccellenza con competenze di elevato profilo sulla malattia, prima ancora che sulla terapia, perché gli eventi avversi non riguardano tanto la somministrazione del farmaco ma più che altro patologia in sé. Il valore aggiunto diventa quindi la competenza di chi sappia interpretarli e intervenire nel modo più rapido e opportuno”.
Individuare i centri di eccellenza e far in modo che ottengano la qualificazione per erogare una terapia avanzata contro una malattia rara non è semplice, specie se il numero di trattamenti potenzialmente erogabili aumenta. È difficile immaginare che tali centri possano essere presenti in ognuno degli Stati membri dell’Europa. Ecco quindi che occorre adottare criteri per facilitare lo spostamento dei pazienti anche oltre i confini nazionali. “Esistono dei regolamenti che permettono ai pazienti di spostarsi per essere adeguatamente curati presso i centri di eccellenza per la loro patologia in quei Paesi europei in cui essi sono presenti”, conclude Michela Gabaldo. “L’approfondimento delle conoscenze su una patologia rara può realizzarsi solo accorpando i casi, motivo per cui non sarebbe ragionevole avere in ogni Stato troppi centri dedicati a malattie che contano circa una decina di pazienti l’anno in tutta Europa. Bisogna abbattere i confini e creare una cabina di regia a livello europeo per far muovere il paziente verso il centro dotato del livello di eccellenza strutturale e scientifica necessario all’erogazione della specifica terapia avanzata”.
Ciò significa conoscere nel profondo le terapie avanzate in tutte le loro sfumature, collocando in maniera precisa le conoscenze scientifiche e, soprattutto, assistendo i pazienti e i loro familiari nel passaggio cruciale del percorso terapeutico. Essi potranno poi essere monitorati e seguiti presso i centri di riferimento nel loro Paese d’origine, o tramite approcci di telemedicina che la pandemia COVID-19 ha confermato essere fondamentali per non perdere contatto con i malati.