Nonostante ci sia ancora molto da scoprire, oggi dovrebbe ricredersi anche Francis Crick, uno degli scopritori della doppia elica, che già negli anni ‘60 lo definì “poco più che spazzatura”
“So much ‘junk’ DNA in our genome” (“Così tanto DNA ‘spazzatura’ nel nostro genoma”). Così Susumo Ohno, genetista e biologo evolutivo nippo-americano a cui è attribuita l’origine del termine ‘junk DNA’, esordì nel 1972 in merito alle discussioni sulle dimensioni del genoma e sulla mancanza di una correlazione evidente con la complessità biologica dell’organismo a cui appartiene. Nell’uomo ci sono 46 cromosomi, circa 2 metri di DNA arrotolato su se stesso contenente oltre 20mila geni conosciuti. Solo il 2% circa del nostro materiale genetico codifica per delle proteine, mentre la maggior parte è il cosiddetto DNA non codificante. In passato non gli si diede molta importanza, arrivando appunto a chiamarlo ‘junk’ DNA, ma le cose stanno cambiando anche grazie alle più recenti tecniche di sequenziamento.
COME FUNZIONA IL DNA
L’esistenza della doppia elica è ormai nota a chiunque e la sua scoperta risale esattamente a 70 anni fa: due filamenti avvolti l’uno all’altro che formano la molecola di DNA, sigla che - tradotto in italiano - significa Acido DesossiriboNucleico. Questi filamenti sono costituiti dalla successione di quattro diversi mattoncini chiamati nucleotidi (adenina, timina, guanina e citosina) che, appaiandosi tra loro in modo ordinato e preciso, danno origine a una delle strutture molecolari più affascinanti della biologia.
Focalizzando l’attenzione sull’essere umano, il DNA è presente in tutte le cellule dell’organismo - esclusi i globuli rossi - e si organizza, ripiegandosi su se stesso, per occupare il minor spazio possibile all’interno del nucleo. Ed è proprio in quello spazio minuscolo che sono racchiuse tutte le informazioni necessarie per la sopravvivenza. Ma cosa vuol dire? Innanzitutto, il DNA contiene tutte le istruzioni necessarie alle nostre cellule per permetterci di vivere: se cellule, tessuti e organi funzionano a dovere, l’organismo sopravviverà. Se qualcosa andasse storto, potrebbero manifestarsi sintomi e malattie più o meno gravi, a volte incompatibili con la vita stessa. Inoltre, il DNA permette il passaggio delle informazioni da una generazione alla successiva, garantendo il mantenimento della specie.
Una cosa è però curiosa: solo una minima percentuale della molecola è formata da sequenze codificanti, cioè quelle che servono a produrre proteine. Il resto, circa il 98%, è DNA non codificante e, di conseguenza, non è direttamente coinvolto in quell’affascinante meccanismo per cui il DNA viene trascritto in RNA messaggero (mRNA), che a sua volta viene tradotto in proteine. Ogni volta che una proteina deve essere prodotta, queste interruzioni di DNA non codificante devono essere tagliate e le istruzioni di codifica essere rimesse insieme, “incollando” le estremità, prima di essere tradotte. Un po’ come nei crucipuzzle: si eliminano molte lettere dalla griglia di gioco per poi leggere la soluzione.
Perché l'evoluzione non ha reso il processo più efficiente e lineare? Uno studio recente, condotto da ricercatori di Tel Aviv, ha permesso di aggiungere alcune intuizioni fondamentali sulle ragioni della persistenza del DNA non codificante, che potrebbero aiutare a comprendere meglio la ricca varietà di dimensioni dei genomi nel mondo vivente. L’ipotesi dei ricercatori è che l'eliminazione dei segmenti non codificante, intorno alle regioni codificanti, potrebbe danneggiare l’integrità dell’informazione genetica, poiché anche le sezioni codificanti potrebbero subire dei tagli. In sostanza, il "DNA spazzatura" agirebbe come un cuscinetto, proteggendo le regioni che contengono le sequenze più sensibili necessarie per la codifica delle proteine. E per mostrare queste dinamiche in azione hanno creato un modello matematico. Sebbene il lavoro fornisca una spiegazione plausibile della variazione della lunghezza degli introni (sequenze non codificanti all’interno di un gene) in una specie, non può spiegare perché questi differiscano tra le specie e quale sia la loro origine.
UN PO’ DI STORIA E UN PREMIO NOBEL
Prima del 1977, si riteneva che le molecole di mRNA fossero copie fedeli del DNA, ma questo era vero nei batteri. Gli scienziati rimasero sorpresi quando scoprirono che i geni delle cellule eucariotiche (come quelli di animali e piante) presentano delle interruzioni e non sono segmenti continui. Richard J. Roberts e Phillip A. Sharp, nel 1977, scoprirono indipendentemente che i geni potevano essere discontinui, cioè che un dato gene poteva essere presente nel materiale genetico come diversi segmenti, chiamati esoni, ben separati da sequenze non codificanti, chiamate introni.
La scoperta di Roberts e Sharp, oltre a valergli il Premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1993, ha cambiato il punto di vista su come si sviluppano i geni negli organismi superiori durante l'evoluzione. La scoperta ha portato anche all’ipotesi di un nuovo processo genetico, quello dello splicing, essenziale per capire come funziona l'espressione dell'informazione genetica.
JUNK O NON JUNK, QUESTO È IL PROBLEMA
Anche se accattivante, il termine DNA “spazzatura” ha tolto per anni i riflettori della ricerca dal materiale genetico non codificante. Per fortuna, alcuni scienziati hanno deciso di avventurarsi nello studio di questi misteriosi segmenti, svelando più cose di quante potessero aspettarsi. Diverse sono le teorie che si sono susseguite nel tempo per trovare una spiegazione per giustificare l’esistenza di questi sequenze: pur essendo stato definito junk da alcuni, altri consideravano impensabile l’idea che ampie porzioni del genoma esistessero senza uno scopo. Tuttavia, è importante sottolineare che il concetto di DNA spazzatura non era basato sulla mancanza di conoscenze, anzi, esattamente il contrario.
Uno dei momenti in cui il junk DNA è finito in prima pagina risale alla pubblicazione del progetto ENCODE, un enorme studio del 2012 chiamato Encyclopaedia of DNA Elements (ENCODE) che ha affermato che ben l'80% del DNA umano ha una funzione. I risultati di questo studio sono stati controversi, in parte perché molti scienziati hanno sostenuto che la definizione di "funzionale" data da ENCODE fosse troppo ampia. Altri hanno sostenuto che, anche se può avvenire la trascrizione, l'accessibilità di questi segmenti ai fattori di trascrizione non significa necessariamente che abbiano una funzione o che la trascrizione dei segmenti sia in qualche modo vantaggiosa. Diverse prove supportano l'idea che una percentuale sostanziale del DNA in molti genomi eucarioti non abbia una funzione evidente e che il concetto di DNA spazzatura rimanga valido anche dopo l'ENCODE. (Fonte: Plos Genetics).
Negli ultimi anni la scienza si è allontanata sempre più dal definire tutti gli introni come "DNA spazzatura", poiché sono state scoperte altre funzioni - alcune confermate e altre ipotetiche - tra cui la trascrizione degli introni in filamenti di RNA che supportano in vari modi la produzione di proteine e la collaborazione con le proteine cellulari per favorire il ripiegamento della molecola nel nucleo. Inoltre, i ricercatori sanno da anni che il DNA non codificante è molto variabile tra le specie, ma pare abbia un ruolo nell’accelerare l’evoluzione dei geni, facilitando il rimescolamento degli esoni.
Una parte del DNA non codificante è costituita da sequenze altamente ripetute di lunghezza variabile. Tra queste, ci sono i telomeri: sequenze che ricoprono le estremità dei cromosomi, che contribuiscono a mantenerne l'integrità e che hanno un ruolo nell’invecchiamento cellulare. Ci sono poi i trasposoni, segmenti di DNA “mobili” che possono cambiare la loro posizione all'interno del genoma, e gli pseudogeni, la cui natura è ancora in fase di approfondimento ma che sembrano essere resti di geni accidentalmente duplicati e poi degradati. Molte delle ripetizioni presenti nelle cellule non hanno uno scopo noto e possono essere acquisite e perse nel corso dell'evoluzione, apparentemente senza effetti negativi.
Diversi misteri circondano ancora la questione di cosa sia il DNA non codificante e se si tratti davvero di spazzatura inutile o di qualcosa di più. Alcune porzioni di esso si sono rivelate di vitale importanza dal punto di vista biologico e i ricercatori stanno iniziando a capire come il DNA non codificante possa essere una risorsa anche per la ricerca biomedica. A questo si aggiunge il fatto che gli enormi progressi tecnologici fatti nel nuovo millennio – in primis le tecniche di sequenziamento – hanno messo sotto una nuova luce le molecole di DNA e RNA e le sequenze non codificanti. Chissà che la “spazzatura” non venga rivalutata (di nuovo).