Vaccino COVID-19

AstraZeneca, Pfizer e Moderna sono i tre grandi protagonisti della sfida a SARS-CoV-2. Diversi nella strategia, sono tutti utili per provare a fermare la diffusone del virus

Insieme allo scontro elettorale tra il nuovo presidente americano, Joe Biden, e lo sconfitto Donald Trump, il vaccino contro il virus SARS-CoV-2 è l’argomento di cui più si sente parlare ai telegiornali. Infatti, ad eccezione di un quotidiano monitoraggio dell’andamento delle curve epidemiologiche, l’argomento Coronavirus è sempre più impostato sull’imminente arrivo di un vaccino. O di più vaccini, visto che ogni giorno un candidato sembra prevalere sull’altro nella corsa allo sviluppo, per la richiesta di autorizzazioni accelerate e all’ideazione di strategie di produzione in enormi quantità di un farmaco capace di proteggere l’organismo umano dall’attacco del virus.

Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Russia, Cina e Italia sono i Paesi maggiormente coinvolti in questa fase di ricerca, sviluppo clinico e produzione ma, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (l’aggiornamento è al 12 novembre), risultano essere 48 i candidati vaccini in sperimentazione clinica e 164, invece, quelli ancora nella fase dei test pre-clinici. Numeri che bastano ad innescare una sequela di interrogativi: quali sono i più efficaci? Sono tutti sicuri? Quando arriveranno sul mercato e chi ne beneficerà prima? Ad ognuna di queste domande è bene provare a fornire una risposta riassumendo quali sono i protagonisti di questo corsa.

PFIZER E MODERNA

Nei giorni scorsi alcune aziende si sono confrontate in un vero e proprio scontro mediatico a colpi d’efficacia del proprio vaccino. All’annuncio di Pfizer che il proprio vaccino - denominato BNT162b2 e sviluppato dalla tedesca BioNTech - ha raggiunto il 90% di efficacia sulla base di dati preliminari dello studio clinico di Fase III, è seguito quello di Moderna con un’efficacia del 94,5% per il suo candidato mRNA1273 (anche questo in studio di Fase III). Dopo una manciata di giorni è arrivato il rilancio di Pfizer che ha raggiunto l’asticella del 95%. Entrambi i vaccini sono prodotti grazie alla tecnologia ad RNA messaggero (mRNA). Non sono, dunque, basati su microrganismo attenuati (come nel caso dei concorrenti cinesi) ma sfruttano una nuova concezione produttiva capace di portare all’interno delle cellule umane il frammento di mRNA che codifica per la proteina spike, grazie a cui il virus penetra nelle cellule umane. L’mRNA inglobato all’interno di un involucro lipidico può, in tal modo, superare la membrana cellulare e, una volta all’interno della cellula, codifica la produzione delle sostanze che armano le difese cellulari. Un modo più sicuro ed efficace per chiudere la porta in faccia al virus rispetto ai tradizionali vaccini composti da virus inattivati.

A questo punto però occorre capire bene cosa si intenda per efficacia: solo quando le due aziende pubblicheranno i dati completi della loro ricerca sarà possibile comprendere se gli individui arruolati nei trial ai quali è stato somministrato il vaccino non si siano davvero infettati o se, invece, non abbiano sviluppato sintomi. Esiste, infatti, la possibilità che il virus sia rimasto nelle alte vie nasali e non abbia provocato la polmonite che per molte persone contagiate - specie gli anziani - si è rivelata fatale. Un altro punto fondamentale che dovrà essere approfondito è legato all’impatto dei candidati vaccini su fasce di popolazione di età diversa. Infatti, i risultati dello studio clinico di Fase I/II del vaccino di Pfizer, che sono stati pubblicati in preprint su medRxiv, evidenziano un’immunogenicità leggermente inferiore nella popolazione anziana. Tuttavia, in questi giorni Pfizer ha trasmesso la documentazione del suo vaccino alla Food And Drug Administration (FDA) statunitense per ottenere l’Emergency Use Authorization (EUA), in forza della quale si potrà procedere alla somministrazione ad alcune categorie a maggior rischio. Ciò non significa che il prodotto sia effettivamente in commercio ma, come già accadde durante la scorsa epidemia di Ebola, esso può essere reso disponibile in forma emergenziale in attesa che i dati vengano analizzati e gli studi giungano a completamento. Ci si aspetta che Moderna procederà per la stessa richiesta alla FDA entro breve.

ASTRAZENECA

Quella dei vaccini a mRNA non è l’unica strategia per stimolare l’immunità contro il Coronavirus. In corsa c’è anche il vaccino ChAdOx1 nCoV-19, messo a punto da Advent del gruppo IRBM di Pomezia, sviluppato in collaborazione con l’Università di Oxford e prodotto da AstraZeneca. Si tratta di un vaccino dal “cuore” italiano (di cui abbiamo già parlato qui e qui) che sfrutta un adenovirus come “cavallo di Troia” per portare all’interno delle cellule il DNA necessario a codificare la proteine in grado di generare una efficace risposta anticorpale e cellulare contro l’aggressore. La scorsa settimana, sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet sono apparsi i risultati dello studio clinico di Fase II/III condotto con ChAdOx1 nCoV-19. I dati ottenuti su 560 individui adulti arruolati nello studio indicano un buon livello di tollerabilità e sicurezza e, soprattutto, la capacità di indurre una robusta risposta immunitaria anche nei pazienti più anziani. “Quello di AstraZeneca è un vaccino che funziona bene, soprattutto nella popolazione al di sopra dei 70 anni. Questo era lo scoglio più grande da superare”, precisa la dott.ssa Stefania Di Marco, direttore scientifico di Advent. “Il vaccino genera anticorpi neutralizzanti che, si è visto anche da altre ricerche, correlano con l’efficacia. Inoltre, produce una risposta di tipo cellulare ed è ben tollerato anche dalla popolazione anziana. Nel nostro trial abbiamo testato due dosi e a seguito della prima dose abbiamo osservato solo alcune reazioni avverse locali ma, dopo la seconda dose, esse sono state anche di meno”.

Il 23 novembre, un comunicato ufficiale di AstraZeneca ha diffuso un dato di efficacia proveniente dall’analisi ad interim che calcola per una somministrazione a due dosi (mezza dose seguita da una dose piena a un mese di distanza, in un gruppo, e una dose piena ed una seconda dose piena a un mese di distanza, in un secondo gruppo) un’efficacia combinata del 70%. Nel gruppo a cui è stata somministrata una prima mezza dose, seguita dopo un mese da una dose piena, l’efficacia è risultata del 90%. “Il picco di produzione delle IgG arriva dopo circa 28 giorni per cui è necessario almeno un mese perché si generi una risposta”, afferma Di Marco. “È vero anche che una sola dose produce un buon effetto ma con il richiamo si è visto che la risposta aumenta per cui l’ideale è sicuramente un vaccino a due dosi”.

L’avvento di AstraZeneca è stato fondamentale per dare propulsione alla corsa del vaccino anglo-italiano. “Quello di AstraZeneca costerà circa 3 euro, quasi dieci volte in meno rispetto a quelli di Pfizer o Moderna”, aggiunge Di Marco. “Inoltre, le prove di stabilità svolte in questi mesi ci dicono che sarà stabile per parecchi mesi a una temperatura compresa tra 2° e 8°C, quella di un semplice frigorifero per intenderci. È una finestra di stabilità buona per un prodotto che, dal momento della disponibilità effettiva, si presume sarà somministrato in poco tempo”.

Leggi anche COVID-19 e vaccini. Una corsa a tre (più due) - Parte Seconda.

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