Pubblicata una revisione sistematica degli studi clinici condotti nel campo delle DTx. La ricerca è stata condotta dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri
Si parla sempre di più di terapie digitali (DTx), farmaci veri e propri che mirano ad una serie di patologie che la medicina classica non è in grado di curare e che richiedono percorsi assistenziali lunghi, come ad esempio le malattie croniche o i disturbi neurologici. Come i farmaci più classici, le DTx sono sottoposte a severi studi clinici prima dell’autorizzazione all’immissione in commercio. Ma quale è il panorama degli studi clinici in questo ambito? Il lavoro portato avanti dal Laboratorio di Informatica Medica dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri è stato proprio quello di fare una revisione sistematica degli studi clinici condotti nel campo delle terapie digitali. I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Ricerca&Pratica.
Lo scorso gennaio, il gruppo di lavoro sulle terapie digitali per l’Italia - di cui mi onoro di fare parte - aveva pubblicato un documento di oltre 200 pagine dal titolo “Terapie digitali: un’opportunità per l’Italia” con l’obiettivo di fare luce su queste nuove tematiche da diverse prospettive (tecnologiche, cliniche, scientifiche, economiche, regolatorie, ecc). Il lavoro ha fatto molto discutere e di terapie digitali oggi si parla in molti contesti. Il successo dell’iniziativa è stato così importante che il gruppo di lavoro a settembre ha pubblicato la versione in inglese del documento, a cui è stato aggiunto un capitolo dedicato all’etica delle terapie digitali. Il nuovo documento è disponibile sul sito di Tendenze Nuove. Parallelamente è iniziato il lavoro di revisione sistematica degli studi clinici condotti nel campo delle terapie digitali, portato avanti con il Laboratorio di Informatica Medica dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Ricerca&Pratica, de Il Pensiero Scientifico Editore, e presentati ad agosto al congresso della European Society of Cardiology.
LO STUDIO SUI TRIAL
I risultati sono interessanti. Sono stati ricercati sul database ClinicalTrials.gov tutti gli studi clinici sulle terapie digitali condotti nel corso degli ultimi anni. Dei quasi 400.000 studi condotti a livello internazionale, da diversi anni molti si riferiscono a dispositivi medici e a strumenti di digital health che si aggiungono a quelli tradizionalmente condotti sui farmaci. Il primo dato significativo è che di 560 studi individuati attraverso le parole chiave riconducibili al concetto di terapia digitale, 424 studi clinici sono stati esclusi perché gli interventi sperimentati erano incompatibili con la definizione di terapia digitale. Molti (205) riguardavano l’errata metodologia usata nello studio (gli studi non erano randomizzati oppure erano studi osservazionali); 38 studi prevedevano l’uso di un intervento digitale, che però non era identificato come terapia digitale (tra questi strumenti quelli per favorire l’aderenza al trattamento farmacologico o per la gestione/monitoraggio di una patologia o dei suoi sintomi/complicazioni); i restanti non coinvolgevano alcun tipo di intervento tecnologico.
GLI STRUMENTI E LE PATOLOGIE
Altrettanto significative sono le caratteristiche degli studi. A conferma di quanto ipotizzato in molte pubblicazioni e articoli (anche quelli pubblicati su Osservatorio Terapie Avanzate), tra i 163 studi analizzati le patologie nelle quali tali strumenti sono studiati (e ancor prima sviluppati) riguardano per il 35% l’area della salute mentale (tra cui Alzheimer, demenza, epilessia, depressione e ansia), per il 19% le malattie croniche (come diabete, asma, BPCO e le patologie ortopediche) e per il 13% le dipendenze da fumo, consumo di alcol, abuso di sostanze che creano dipendenza. Seguono i problemi legati al sonno, quelli riguardanti l’obesità, l’alimentazione e l’esercizio fisico, e le malattie cardiovascolari rispettivamente con il 9%, 8% e 7%. Infine, altre patologie con percentuali minori.
Parziali conferme arrivano anche dalla tipologia di intervento di digital health impiegato per sviluppare le terapie digitali. Le App sono le più usate (42%), seguite da interventi basati sul web (26%), da videogiochi (9%) e da sistemi di realtà virtuale (4%). Non mancano strumenti tecnologici meno avanzati come i messaggi testuali (SMS e email), piattaforme di social media e software basati su computer, usati rispettivamente nel 4%, 3% e 2% degli studi. Seguono altri strumenti con percentuali minori. Alcuni strumenti tecnologici usati come terapie digitali si adattano meglio a specifiche patologie. Per esempio, le app sono più frequentemente utilizzate nell’ambito delle patologie croniche e nell’ambito delle patologie associate al sonno, i videogiochi e i sistemi web-based nell’ambito della salute mentale, mentre i messaggi di testo nell’ambito dell’alimentazione/esercizio fisico e in quello delle dipendenze.
SERVONO PIÙ TRIAL CLINICI RANDOMIZZATI
Gli studi, così come la tematica delle terapie digitali, sono piuttosto recenti. Uno studio su 2 è infatti iniziato nel 2019, mentre il numero medio di pazienti reclutati (o da reclutare) in ciascuno studio è 282 (con deviazione standard di 412), a testimonianza della elevata variabilità degli studi. Ad oggi gli studi sono promossi nella maggior parte dei casi (74%) da organizzazioni e istituzioni differenti dall’industria, tra cui accademie, società scientifiche, istituzioni pubbliche ed enti no profit, mentre l’industria promuove il restante 26% degli studi.
In sintesi, tra gli strumenti tecnologici utilizzati per implementare terapie digitali iniziano a farsi largo strumenti innovativi come app, realtà virtuale, videogiochi, a discapito di strumenti più tradizionali. Le patologie dove questi strumenti sono più utilizzati sono quelle dove le terapie cognitivo comportamentali e le modifiche degli stili di vita sono già parte integrante del trattamento tradizionale.
Lo studio, il primo del genere, dimostra che è necessaria una maggiore diffusione e conoscenza di queste tematiche tra medici, ricercatori e sviluppatori e soprattutto un maggiore ricorso alle sperimentazioni cliniche randomizzate da parte delle aziende produttrici di strumenti tecnologici.