Una ricerca “made in Italy” che ha per protagonisti i ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, del Policlinico San Martino di Genova e dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
A leggerla superficialmente potrebbe sembrare la trama di un film di fantascienza anziché una complessa ricerca che mescola elementi di biologia cellulare, fisica dei materiali ed alta tecnologia. Invece è una chiara testimonianza di quanto gli avanzamenti tecnologici di questi ultimi anni stiano rendendo possibile lo sviluppo di pratiche mediche considerate solo un sogno fino a pochi anni fa. Di fatto, è grazie agli studi di un gruppo di scienziati italiani che sono stati compiuti enormi passi avanti per la messa a punto di una retina artificiale liquida che può essere iniettata negli occhi di quelle persone che soffrano di distrofie retiniche gravi come la retinite pigmentosa. La ricerca è stata recentemente descritta sulle pagine di Nature Communications.
RETINITE PIGMENTOSA: LE TANTE POSSIBILI STRADE TERAPEUTICHE
Delle malattie della retina la retinite pigmentosa è considerata l’esempio più noto dal momento che è associata a una lunga lista di mutazioni (sono oltre 200) e si presenta in varie forme caratterizzate da meccanismi di trasmissione differenti. Insomma, più che una patologia è una famiglia di patologie, tutte accomunate dalla perdita dei bastoncelli - le strutture che insieme ai coni costituiscono i fotorecettori della vista e si trovano proprio nella retina. I malati di retinite pigmentosa vanno dunque incontro a un restringimento del campo visivo e una progressiva perdita dell’acuità visiva che può portare alla cecità.
Tra le terapie avanzate allo studio contro questa grave patologia ereditaria ci sono la terapia genica (una è già disponibile in Italia per i pazienti con una rara forma di distrofia retinica e un’altra è in via di sperimentazione per un altro tipo di mutazione) e la terapia cellulare a base di cellule staminali ma non mancano i tentativi di ricorrere a speciali protesi o altre innovative strategie destinate in modo particolare ai pazienti che abbiano già quasi perduto la vista.
NOVAVIDO: DALL’OPTOGENETICA UNA RETINA LIQUIDA
Tra le opzioni in fase di studio dai ricercatori c’è anche l’optogenetica, una tecnica in grado di rendere di nuovo sensibili alla luce i neuroni preservati dalla degenerazione tipica di malattie come la retinite pigmentosa. L’applicazione di tecniche di questo genere ha dato ottimi risultati nei modelli preclinici e, lo scorso anno, ha permesso un parziale recupero della funzionalità visiva in un paziente privo della vista (di cui abbiamo parlato qui) . L’optogenetica è il campo di indagine verso cui ha rivolto l’attenzione l’équipe multidisciplinare che ha messo riunito medici e biologi italiani dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona). Insieme ai colleghi del Politecnico di Milano, dell’Università di Pisa e dell’innovativa start-up Novavido S.r.l., essi hanno lavorato allo sviluppo di una retina liquida, ovvero una sospensione di nanoparticelle polimeriche (P3HT-NPs) biocompatibili e in grado di reagire agli stimoli luminosi le quali, sostituendo i bastoncelli danneggiati, sono in grado di ripristinare la stimolazione nervosa trasmettendo così le informazioni visive al cervello.
Come raccontano i ricercatori nel loro ultimo articolo apparso sulle pagine della rivista Nature Communications, la retina artificiale liquida non necessita di speciali occhiali o microcamere ma viene iniettata localmente nell’occhio del paziente. Gli ottimi risultati dei test preclinici eseguiti sono stati precedentemente pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Nature Nanotechnology, sulle cui pagine è stato anche pubblicato un articolo nel quale i ricercatori hanno riportato come l’iniezione subretinica della sospensione P3HT-NPs fosse in grado di ripristinare la funzione visiva proprio in un modello animale (ratto) di retinite pigmentosa.
UN NUOVO TIPO DI PROTESI
Con il loro ultimo studio, i ricercatori italiani si sono concentrati sulle fasi più avanzate di malattia, nel tentativo di dimostrare le potenzialità di P3HT-NPs di ripristinare la visione anche negli stadi più gravi di malattia, in cui il processo degenerativo ha già portato alla distruzione dei fotorecettori e alla “trasformazione” degli strati cellulari più interni della retina. Infatti, il dubbio che aleggiava sulla retina liquida era la sua possibilità di funzionare proprio nella fasi più avanzate: le normali protesi retiniche sono progettate per stimolare elettricamente le cellule degli strati più interni, pertanto un ostacolo al loro utilizzo è dato dal “riassetto” strutturale e funzionale a cui essi vanno incontro. I circuiti retinici rispondono alla cronica carenza di stimoli da parte dei fotorecettori deteriorandosi e ciò avviene esattamente nella finestra temporale in cui si tenta di applicare la protesi.
Pertanto, i ricercatori hanno elaborato un modello di ratto della retinite pigmentosa estremamente accurato e hanno iniettato la soluzione acquosa contenente le molecole di P3HT-NPs osservando come questa protesi artificiale liquida fosse in grado di ripristinare il fisiologico riflesso pupillare alla luce (PLR) e i potenziali evocati visivi corticali che determinano la risposta visiva delle cellule retiniche. Pur in assenza di fotorecettori, e in un quadro in cui la retina più interna appariva completamente “trasformata” dall’avanzamento della malattia, i ricercatori hanno notato che la retina artificiale era in grado di ripristinare in maniera parziale l’acuità visiva e riattivare la formazione di tracce di memoria visiva a livelli corticali.
Oltre a confermare ulteriormente la qualità della ricerca intrapresa, quelli raccolti nell’articolo pubblicato su Nature Communications sono risultati di grande incoraggiamento che fanno già sperare alla successiva fase di studio sull’uomo il cui inizio dovrebbe essere previsto nell’arco dei prossimi cinque anni.