Un nuovo dispositivo permette l’impianto di cellule produttrici di insulina sotto la pelle senza scatenare una reazione immunitaria. Potrebbe rivoluzionare la gestione del diabete
Tutti i giorni per tutta la vita: il paziente affetto da diabete di tipo 1 non può mai sospendere la terapia insulinica. L’iniezione quotidiana di questo ormone, che il corpo non riesce a produrre da solo, è una questione di vita o di morte. Un’innovazione in questo campo arriva da un nuovo impianto sottocutaneo sviluppato dalle università di Cornell, Ithaca (Stati Uniti) e di Alberta, Edmonton (Canada), una promettente alternativa alle iniezioni giornaliere, ma anche ai trapianti o terapie cellulari che richiedono la somministrazione a vita di immunosoppressori. Il nuovo dispositivo, invece, funziona senza la necessità di ricorrere all’immunosoppressione e potrebbe rivoluzionare la gestione del diabete e semplificare la vita di chi lotta con questa malattia cronica. I risultati sono stati pubblicati su Nature Biomedical Engineering.
DIABETE E ADERENZA TERAPEUTICA
In Italia sono circa 500.000 le persone che soffrono di diabete di tipo 1, di cui circa 20.000 sono bambini e adolescenti, perché la malattia insorge in giovane età. Il numero dei pazienti pediatrici nel mondo arriva 1,2 milioni. Il sistema immunitario distrugge le cellule beta del pancreas, dette anche isole pancreatiche, deputate alla produzione di insulina, un ormone fondamentale per regolare la quantità di glucosio nel sangue. I pazienti perdono la capacità di assorbire il glucosio in eccesso nel sangue, fonte di energia per organi e tessuti. La terapia classica si basa su iniezioni sottocutanee quotidiane di insulina ed è fondamentale per mantenere un buon controllo del diabete e ridurre il rischio di complicanze. Ma come per tutte le condizioni croniche che richiedono una gestione complessa, l’aderenza terapeutica rappresenta un elemento critico.
Un’indagine del 2019, promossa dalla Federazione dei titolari di farmacia italiani (Federfarma), ha stimato che il 67% dei diabetici di tipo 1 non si cura come dovrebbe. Un terzo dei pazienti non monitora con costanza la propria glicemia. Per questa ragione, ad esempio, stanno nascendo le prime insuline sperimentali a lunga durata di azione, che potrebbero ridurre le iniezioni quotidiane a settimanali.
TERAPIE CELLULARI E TRAPIANTI
Se cento anni fa la scoperta dell’insulina ha segnato un cambiamento epocale nella gestione del diabete, oggi si profila all’orizzonte una nuova rivoluzione, che ha come protagoniste le terapie avanzate o altre terapie innovative.
Lo scorso luglio, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha autorizzato donislecel, la prima terapia cellulare destinata ai pazienti affetti da una forma particolare di diabete di tipo 1. Si tratta di una terapia allogenica a base di cellule delle isole pancreatiche ottenute da donatori deceduti. È stato dimostrato che in alcuni pazienti, queste cellule infuse sono in grado di produrre una quantità sufficiente di insulina tale da non dover più ricorrere all’insulina. A questa novità si aggiunge il trapianto delle isole pancreatiche da donatore, che è una strategia già nota da alcuni anni e che fa parte della buona pratica clinica, anche in Italia. Ma, in entrambi i casi, i pazienti sottoposti a queste procedure sono costretti ad assumere immunosoppressori per tutta la vita, perché in caso contrario il sistema immunitario attaccherebbe le cellule trapiantate.
STRATEGIE ALTERNATIVE
Due studi italiani, di cui abbiamo precedentemente parlato qui, hanno mostrato che per ovviare il problema dell’immunosopressione si potrebbe ricorrere ad una terapia autologa (l’autotrapianto) o alla creazione di cellule beta del pancreas a partire da cellule staminali pluripotenti indotte, che vengono poi mascherate al sistema immunitario.
Un’altra strategia è stata ideata oltreoceano alla Cornell University, dove il gruppo guidato dal professor Minglin Man aveva già ideato nel 2017 un dispositivo per il trapianto delle isole pancreatiche che non aveva bisogno dell’immunosoppressione. Il trucco consisteva nel “nascondere” le cellule all’interno di capsule di idrogel di pochi micrometri di diametro, in modo che non fossero visibili al sistema immunitario. Ma la vera innovazione del gruppo di Man era stata quella di collegare le capsule tra di loro per mezzo di un cavo costituito da un polimero biocompatibile, prendendo ispirazione dal modo in cui le gocce di acqua scorrono sulla tela di un ragno. Questo metodo assicurava il recupero immediato delle capsule nel caso in cui fossero emersi dei problemi, come la formazione di tumori.
Questo primo dispositivo era stato progettato per essere impiantato nell’addome, dove le cellule trapiantate avrebbero ricevuto un flusso costante di ossigeno e nutrienti che le avrebbe mantenute in salute. In un esperimento pubblicato nel 2021, l’impianto si è rivelato efficace nel controllare i livelli di glucosio nel sangue di topi diabetici fino a 6 mesi.
IL DISPOSITIVO SOTTOCUTANEO
La nuova versione, frutto di una collaborazione tra i ricercatori dell’università di Cornell e dell’università di Alberta, viene invece impiantata sotto la cute, con una procedura meno invasiva e con meno rischi di un intervento chirurgico all’addome: richiede solo anestesia locale e nessuna permanenza in ospedale. Una serie di cateteri di nylon vengono impiantati sotto la cute, dove rimangono per un periodo di 4-6 settimane, il tempo necessario per formare nuovi vasi sanguigni intorno al catetere. Al termine di questo periodo, vengono rimossi e nella “tasca” che si è creata – proprio dove prima c’erano i cateteri – i ricercatori inseriscono il dispositivo con le isole pancreatiche, lungo circa 10 centimetri. Anche in questo caso, la rete vascolare assicura lo scambio di ossigeno e nutrienti che mantiene in vita le cellule.
Sono ora necessari nuovi studi per testare l’efficacia a lungo termine su animali di grossa taglia e poi, se tutto va bene, sugli esseri umani. Se la strategia funzionasse, le versioni future potrebbero durare dai 2 ai 5 anni prima di essere sostituite. Per i pazienti affetti da diabete di tipo 1 sarebbe una svolta epocale: niente iniezioni giornaliere e nessuna terapia immunosoppressiva. Però, al momento. è fondamentale usare il condizionale.