Nell’era dei dispositivi wireless indossabili, il sensore composto da un idrogel di DNA si applica sulla ferita e può rilevare un’infezione non ancora visibile a occhio nudo
I braccialetti per contare i battiti cardiaci o il numero dei passi sono solo alcuni dei sensori indossabili che hanno riscosso un grande successo anche tra i non amanti del fitness. La stessa tecnologia ha ispirato un team di ricercatori dell’università di Singapore, che hanno realizzato un biosensore lungo quanto un dito che si "indossa" sulle ferite per rilevare la presenza di batteri, quando ancora l’infezione non è visibile a occhio nudo. L’attività enzimatica degli eventuali batteri modifica la conduttività di un idrogel a base di DNA, producendo un segnale che viene inviato via wireless a uno smartphone. Il sistema potrebbe rendere più facile e veloce il monitoraggio di una ferita, anche da parte dei pazienti stessi. Lo studio che ha descritto questo innovativo biosensore è stato pubblicato lo scorso novembre su Science Advances.
L’avvento degli smartphone ha inaugurato anche l’era dei dispositivi indossabili (in gergo “wearable”): smartwatch, braccialetti e visori hanno le funzioni più disparate, come quella di contare i passi, monitorare il battito cardiaco o la qualità del sonno. Questi dispositivi sono in genere interfacciabili con gli smartphone via wireless e spesso sono dotati di sensori NFC (Near Field Communication), un metodo di connessione senza contatto – quella alla base dei servizi di pagamento contactless. Tutte queste innovazioni tecnologiche stanno già radicalmente cambiando le nostre abitudini quotidiane ma hanno anche le potenzialità di trasformare la biomedicina, permettendoci di migliorare la diagnosi, il monitoraggio e il trattamento di molte patologie.
I ricercatori dell’università di Singapore hanno sfruttato tecnologie come l’NFC per realizzare un sistema di monitoraggio delle ferite, in particolar modo quelle croniche. L’infezione di una ferita rappresenta infatti un grosso problema per il paziente e grava sul bilancio della sanità, perché rallenta la guarigione e se non curata in tempo può danneggiare i tessuti in maniera irreversibile o persino condurre il paziente a morte. Spesso la diagnosi e il trattamento arrivano in ritardo proprio perché manca una tecnologia in grado di identificare i patogeni in tempo reale. Ci si affida generalmente a metodi laboriosi, come le colture in laboratorio e altre analisi cliniche, che richiedono diversi giorni.
I sensori indossabili rappresentano un’alternativa per ottenere risultati precisi in tempi rapidi, poiché si interfacciano direttamente con la ferita. Quelli già in uso nella pratica clinica consentono di misurare parametri come la temperatura, la pressione, l’umidità e il pH, che variano a seconda dello stato di una ferita e possono segnalare la presenza di batteri. Per avere una misura diretta dell’infezione, però, sono necessari altri tipi di sensori, in grado di reagire con marcatori specifici, ossia molecole secrete dalle varie specie di batteri patogeni. In questo caso, la vera sfida è renderli indossabili poiché i sistemi su cui si basano per la trasduzione e il rilevamento dei segnali sono molto complessi.
I ricercatori sono riusciti a realizzare un sensore indossabile direttamente sulla ferita, wireless e senza batterie. Lo hanno chiamato WINDOW, dall’inglese "wireless infection detection on wounds". Lo studio è frutto di una collaborazione tra scienziati afferenti a diversi settori: chimica, scienza dei materiali, elettronica e ingegneria. WINDOW, infatti, è composto da un sensore elettronico e da un idrogel formato da un rete tridimensionale di filamenti di DNA e da un polimero a base di glicole polietilenico. Gli scienziati hanno sfruttato una proprietà di molti batteri patogeni che è quella di secernere la deossiribonucleasi: enzima che taglia i doppi filamenti di DNA.
La deossiribonucleasi è prodotta da molti batteri opportunisti, come Staphylococcus aureus, Pseudomonas aeruginosa e Streptococcus pyogenes. Se questi batteri sono presenti nella ferita, l’idrogel di DNA viene degradato e la conduttività del materiale cambia, producendo un segnale elettrico che viene registrato dal sensore e immediatamente trasmesso a uno smartphone grazie alla tecnologia NFC. Questi batteri, spiegano i ricercatori, sono in realtà presenti normalmente anche sulla pelle delle persone sane, come commensali. Il sensore, però, ha una soglia di attivazione tale da escludere i batteri "buoni", che sono meno abbondanti e secernono meno deossiribonucleasi.
I ricercatori hanno realizzato un sensore specifico per Staphylococcus aureus e lo hanno testato in vitro, su essudati presi dalle ulcere di pazienti diabetici, e in vivo, su animali da laboratorio. In entrambi i casi, WINDOW ha rilevato la presenza di S. aureus dopo 24 ore e ha correttamente inviato una notifica di allarme sullo smartphone. A quello stadio nessuno dei topi infetti mostrava segni clinici, come rossori, eritemi o processi infiammatori, per cui non sarebbe stato possibile sospettare la presenza di un’infezione solo esaminando la ferita.
Il sensore può essere usato per rilevare anche gli altri batteri che secernono le deossiribonucleasi - come P. aeruginosa e S. pyogenes – e può essere integrato con altri tipi di sensori che misurano temperatura, umidità e pH, per avere una visione a 360 gradi sulla ferita e la sua gravità. La sua facilità di uso lo rende uno strumento valido anche per i pazienti, che possono monitorare la ferita in autonomia, nei periodi che intercorrono tra un controllo e l’altro. Tutto questo rientra nell’ottica di facilitare l’accesso alle cure e coinvolgere i pazienti in prima persona nel percorso terapeutico, una prerogativa sempre più importante nell’era digitale. In futuro, commentano i ricercatori, anche la parte della terapia potrebbe essere "automatizzata", incorporando nell’idrogel anche degli antibiotici da rilasciare a comando, ogni volta che si riscontra un’infezione.