Uno studio, guidato dalla prof.ssa Ballerini e dal prof. Prato di Trieste, esplora le potenzialità dei nanomateriali come interfaccia tra i neuroni per stimolare la rigenerazione delle fibre nervose
Per un neurochirurgo la possibilità di riparare una lesione dei nervi costituisce il sogno di un’intera carriera. Le fibre nervose dei mammiferi adulti, infatti, hanno tassi di rigenerazione molto bassi che rendono difficile il processo di riparazione delle lesioni. Ecco perché certi traumi del midollo spinale comportano la paralisi degli arti. Recentemente si è molto discusso dei risultati di uno studio svedese nel quale l’impiego delle cellule staminali sembrava favorire la riparazione di lesioni a danno del midollo spinale. Naturalmente si tratta di risultati ottenuti su modelli sperimentali ma per raggiungere questo straordinario obiettivo, oltre che sulla terapia cellulare, la ricerca si sta concentrando anche sullo studio dei nanomateriali.
Un fronte su cui l’Italia è particolarmente all’avanguardia, come dimostrano le conclusioni di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista PNAS - Proceedings of the National Academy of Sciences e firmato dalla prof.ssa Laura Ballerini, neuroscienziata della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, e dal prof. Maurizio Prato, ordinario di Chimica Organica presso l’Università degli Studi di Trieste. Anziché sulle capacità rigenerative delle cellule staminali essi hanno puntato sui nanotubi di carbonio per trattare le delicate lesioni. “Questo lavoro è il frutto di una collaborazione di oltre quindici anni tra il mio laboratorio di Neurofisiologia e Neuroscienze e il laboratorio di Chimica del prof. Prato”, spiega Ballerini. “Abbiamo sfruttato le eccezionali proprietà fisiche e meccaniche dei nanotubi di carbonio per usarli come interfaccia tra i neuroni. Ciò che volevamo capire è in che modo un materiale possa stimolare le cellule nervose a rigenerare le proprie fibre e abbiamo visto che, grazie alla loro conducibilità elettrica, elasticità e resistenza i nanotubi di carbonio sono stati in grado di ristabilire le connessioni tra le cellule nervose”.
Un lavoro che si colloca al punto d’intersezione tra nanotecnologia e neurobiologia e che è stato possibile realizzare grazie allo sviluppo degli “scaffold”, cioè le microstrutture che favoriscono la ricostituzione delle fibre nervose. In medicina rigenerativa l’uso degli scaffold tende ad essere associato ai modelli cellulari tridimensionali meglio conosciuti come organoidi dal momento che queste strutture consentono la crescita delle cellule staminali su tre dimensioni ma, nella ricerca svolta nei laboratori triestini, gli scaffold sono il cuore dell’esperimento. “Ai nanotubi di carbonio è stata data la forma di scaffold, cioè di impalcature tridimensionali di piccolissime dimensioni, inserite come impianti all’interno di una lesione spinale artificialmente prodotta in esemplari di piccoli roditori”, prosegue Laura Ballerini. “Così facendo abbiamo appositamente progettato un modello sperimentale di patologia per studiare le proprietà di rigenerazione dei nervi. In un arco di tempo di sei mesi, tramite protocolli standard di valutazione locomotoria e confronti con esemplari di controllo, abbiamo indagato le proprietà di ricrescita delle fibre nervose e abbiamo studiato la possibilità di recupero delle funzioni motorie degli animali, osservando come l’impianto dei nanotubi abbia permesso un buon recupero delle capacità motorie rispetto agli animali che non avevano subito l’impianto”. Questo era dovuto alla ricrescita delle fibre nervose che attraversavano il sito della lesione. Gli scienziati hanno potuto osservare il processo grazie alla risonanza magnetica con una tecnica che gli ha permesso di vedere i fasci di fibre che via via si riformavano, sfruttando proprio le caratteristiche fisiche dei nanotubi da cui proveniva il supporto meccanico necessario e la possibilità d’interazione elettrica con i neuroni.
Questo straordinario risultato è il frutto di anni di ricerca: il lavoro della prof.ssa Ballerini e del prof. Prato nasce da un precedente studio nei modelli in vitro, nei quali avevano osservato la rigenerazione delle fibre nervose grazie ai nanomateriali. “Avevamo notato come i neuroni cooptino questo materiale per creare una struttura ibrida e ricostruire il tessuto danneggiato, tuttavia non era immediato supporre un recupero delle funzioni del tessuto danneggiato”, conclude la prof.ssa triestina. “Oggi, questo studio ci dà conferma della ripristinata funzionalità e getta le basi per un approccio terapeutico che sfrutti le proprietà fisiche e meccaniche di un materiale di sintesi per favorire la ripresa funzionale, senza bisogno di aggiungere fattori di crescita o ricorrere alle cellule staminali”.
La traslazione in clinica è ancora molto lontana e non è scontato che si realizzi con questi specifici nanotubi di carbonio - anche se va sottolineato che nessuno degli esemplari di ratto coinvolti nello studio ha sperimentato un rigetto - tuttavia, una linea di condotta parallela a quella di ricostruzione dell’ambiente biologico messa in atto dalle cellule staminali costituisce un’alternativa importante e necessaria nella sfida per la riparazione delle lesioni nervose. Un traguardo fino ad ora solo sognato dai medici e dai pazienti.