L’ingegnosa strategia si basa su filamenti di cellulosa che, posti all’estremità dei nanocristalli, catturano i farmaci chemioterapici in eccesso. I risultati sperimentali sono sorprendenti
Per la maggior parte dei tumori, la chemioterapia rimane ancora la scelta migliore di trattamento. Questi farmaci, però, causano effetti collaterali gravi, che diminuiscono la qualità di vita dei pazienti. Un gruppo di ricerca statunitense ha messo a punto un nuovo nanomateriale per la cattura dei chemioterapici somministrati localmente, prima del loro ingresso nella circolazione sistemica. La strategia è basata su una particolare forma di nanocristalli di cellulosa, ingegnerizzati per catturare il maggior numero di molecole di farmaco, senza effetti collaterali sulle altre cellule. La sua efficacia è fino al 3200% maggiore rispetto ad altri approcci disponibili. I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Materials Today Chemistry.
Diversi pazienti oncologici stanno ora iniziando a beneficiare delle nuove terapie a bersaglio molecolare: farmaci cosiddetti "mirati", poiché bloccano in maniera specifica i meccanismi molecolari che alimentano la crescita del tumore, o delle innovative terapie CAR-T che si basano su cellule immunitarie “addestrate” a colpire le cellule tumorali. Ma per decenni la chemioterapia, insieme a radioterapia e chirurgia, è stata l’unica strada percorribile e lo è ancora, purtroppo, per molti tipi di tumore. La chemioterapia ha un meccanismo d’azione completamente diverso rispetto alle nuove terapie mirate e personalizzate: interferisce con la capacità delle cellule tumorali di replicare e proliferare velocemente. Per questo può avere effetti collaterali gravi, poiché danneggia anche i tessuti sani che hanno le stesse caratteristiche di ricambio veloce, come capelli, pelle e pareti dell’intestino. I principali sono anemia, stanchezza, nausea, vomito, perdita di capelli e peli, problemi cognitivi e cardiotossicità.
Le terapie mirate sono in genere più sopportabili per i pazienti, ma sono adatte solo per alcuni tipi di tumori. Da un lato, quindi, i ricercatori studiano i meccanismi molecolari del cancro per aumentare il raggio d’azione dei farmaci a bersaglio molecolare; dall’altro, si sperimentano continuamente nuove strategie per ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia.
CATTURARE IL CHEMIOTERAPICO IN ECCESSO
La doxorubicina, ad esempio, è uno dei farmaci più usati per il cancro al fegato, ma a dosaggi elevati può provocare cardiotossicità. Un dosaggio più basso riduce i rischi per il paziente, ma è anche meno efficace contro il tumore. Una soluzione può essere quella di somministrare il chemioterapico a dosaggi elevati, ma localmente all’interno del tumore. Anche così, però, una parte del farmaco può raggiungere la circolazione sistemica e danneggiare i tessuti sani. La somministrazione locale può funzionare in presenza di un meccanismo di cattura del chemioterapico in eccesso.
A partire dal 2014, sono stati messi a punto dei sistemi per la filtrazione della chemioterapia (Chemo-Filters), basati sulle proprietà degli scambiatori di ioni, come le resine. Poiché la maggior parte dei farmaci ha carica positiva, può interagire con una matrice formata da polimeri di carica opposta. Uno dei sistemi più recenti, ad esempio, è basato sulla capacità di farmaci come la doxorubicina di legarsi al DNA delle cellule tumorali per bloccare la replicazione. Nello studio del 2018, il sistema a base di nanoparticelle magnetiche ricoperte di DNA genomico, carico negativamente, ha rimosso fino al 98% della doxorubicina dal siero umano in 10 minuti. La capacità di rimozione di questi sistemi, però, è nell’ordine di pochi microgrammi di farmaco per milligrammi di sostanza adsorbente.
I NANOCRISTALLI DI CELLULOSA "HAIRY"
Un gruppo di ricerca statunitense ha progettato un metodo basato su nanocristalli di cellulosa con una efficacia fino al 3200% maggiore rispetto agli altri approcci utilizzati finora, compreso quello basato sul DNA. I ricercatori hanno scelto la cellulosa, il principale componente della parete cellulare delle piante, perché è per natura un materiale biocompatibile, non citotossico e non biodegradabile. Hanno creato, in particolare, una versione ingegnerizzata della cellulosa, cosiddetta "hairy". La forma dei nanocristalli è quella di un bastoncino, che presenta alle estremità un "ciuffo" disordinato di catene di cellulosa dotate di carica negativa e in grado di catturare molte molecole di doxorubicina alla volta. Il nome viene quindi dall’inglese "hairs"– perché le catene di cellulosa alle estremità sembrano proprio un ciuffo di capelli.
I nanocristalli mantengono stabilmente la loro carica negativa anche nel flusso sanguigno, dove molte altre nanoparticelle perdono la funzionalità, a contatto con le proteine e gli ioni presenti nel sangue. I ricercatori hanno testato la loro capacità di catturare la doxorubicina in varie soluzioni, compreso il siero umano. I risultati sono stati sorprendenti, almeno due o tre ordini di grandezza superiori a quelli delle altre strategie disponibili: fino a 6000 microgrammi di doxorubicina rimossa per milligrammo di nanocristalli di cellulosa.
Gli esperimenti hanno inoltre dimostrato che i nanocristalli non hanno effetti collaterali in vitro sui globuli rossi o sulla crescita e metabolismo cellulari. Anzi, la loro presenza nel mezzo di coltura protegge le cellule dagli effetti dannosi del trattamento con doxorubicina. Amir Sheiki, ingegnere biomedico della Penn State University e coordinatore dello studio, ha commentato le possibili applicazioni di questo sistema: “I nanocristalli potrebbero catturare i farmaci in eccesso che escono dalla vena cava inferiore del fegato. I medici potrebbero somministrare dosi più elevate della chemioterapia per combattere il cancro più rapidamente senza danneggiare le cellule sane. Una volta terminato il trattamento, il dispositivo potrebbe essere rimosso”.
Sempre secondo Sheiki, l'uso dei nanocristalli di cellulosa "hairy" potrebbe avere anche altre applicazioni lontane dal mondo della medicina. Il suo team ha recentemente progettato nanocristalli in grado di legarsi selettivamente al neodimio, un metallo del gruppo delle terre rare, per recuperare questo prezioso materiale dai rifiuti elettronici.
Crediti immagine: Terasaki Institute for Biomedical Innovation