Minuscoli “biobot” creati a partire da cellule della trachea umana sono in grado di muoversi su una superficie piana e riparare le zone danneggiate in colture di neuroni
Rigenerazione e guarigione dei tessuti sono due temi di grande interesse nel mondo della ricerca biomedica e le strade per raggiungere l’obiettivo sono le più disparate: gli anthrobot sono una di queste. Questi robot biologici dalle dimensioni che vanno dal diametro di un capello a quello della punta di una matita, sono stati creati per essere auto-assemblanti e hanno dimostrato di avere un effetto terapeutico sulle cellule nervose cresciute in una piastra in laboratorio. I risultati dello studio, recentemente pubblicato su Advanced Science, potrebbero un giorno portare allo sviluppo di "biobot" terapeutici in grado di pattugliare l’organismo per riparare le lesioni, consegnare farmaci, rimuovere le placche aterosclerotiche o altre applicazioni ancora.
PRIMA C’ERANO GLI XENOBOT
In uno studio pubblicato nel 2021, i ricercatori della Tufts University e dell'Università del Vermont (UVM) hanno descritto la creazione di robot biologici partendo da cellule embrionali di una specie di rana (ne abbiamo parlato qui). Gli xenobot, così battezzati, sono il frutto del lavoro di alcuni degli stessi autori del più recente studio pubblicato su Advanced Science ed erano già stati protagonisti di uno studio iniziale nel 2020. In grado di muoversi in ambienti acquosi in risposta a stimoli esterni, gli xenobot si autoassemblano in un “corpo” a partire da singole unità senza bisogno di interventi esterni, sono dotati di memoria, possono raccogliere materiali e navigare attraverso l’organismo. Il problema principale era uno: gli xenobot sono fatti di cellule di anfibio.
COME SI PRODUCE UN ANTHROBOT?
Sulla base delle conoscenze sviluppate grazie a queste ricerche, gli scienziati hanno di recente pubblicato i risultati di uno studio sugli anthrobot. A differenza della versione precedente, questi sono prodotti a partire da cellule umane adulte, ciò significa che il paziente può utilizzare le proprie cellule, evitando così di scatenare una risposta immunitaria. Inoltre, gli anthrobot non hanno bisogno di modifiche genetiche, non si riproducono e si biodegradano dopo circa 45-60 giorni in laboratorio, riducendo ulteriormente i rischi per i pazienti. Inoltre, al di fuori del corpo, gli anthrobot possono sopravvivere solo in condizioni sperimentali molto specifiche e non vi è alcun rischio di esposizione o diffusione involontaria al di fuori del laboratorio.
Per creare un anthrobot, i ricercatori sono partiti da una singola cellula prelevata dalla superficie della trachea di una persona. Queste cellule sono naturalmente ricoperte da minuscole strutture simili a peli, chiamate "cilia", che aiutano a tenere fuori dai polmoni le particelle che inspiriamo. Questa singola cellula viene quindi posta in un ambiente simile a quello da cui è stata prelevata e lasciata crescere e moltiplicarsi per due settimane. Studi precedenti avevano dimostrato che quando le cellule vengono coltivate in laboratorio, formano spontaneamente piccole sfere multicellulari chiamate organoidi.
Inoltre, i ricercatori della Tufts University e dell'Università del Vermont (UVM) hanno sviluppato condizioni di crescita che incoraggiano le cilia a rivolgersi verso l'esterno degli organoidi. Questi, nel giro di pochi giorni, hanno iniziato a muoversi spinti dalle cilia che agiscono come remi.
Gli scienziati hanno notato forme e tipi di movimento diversi ed è stato dimostrato che non solo le cellule possono creare nuove forme multicellulari, ma possono anche muoversi in modi diversi su una superficie di neuroni umani coltivati in laboratorio e incoraggiare la rigenerazione per riempire i vuoti causati dalla scalfittura meccanica dello strato di cellule. Sebbene sia stata confermata la crescita dei neuroni, non è ancora chiaro come gli anthrobot incoraggino questo processo.
OBIETTIVO RIGENERAZIONE, MA NON SOLO
"Gli antrobot si auto-assemblano nella piastra di laboratorio", ha affermato il dott. Gizem Gumuskaya, primo autore della pubblicazione. "A differenza degli xenobot, non hanno bisogno di pinzette o bisturi per prendere forma e possiamo usare cellule adulte, anche di pazienti adulti, al posto di cellule embrionali. È completamente scalabile: possiamo produrre sciami di questi bot in parallelo, il che è un buon inizio per sviluppare uno strumento terapeutico". Infatti, gli autori vorrebbero realizzare anthrobot con applicazioni terapeutiche e hanno quindi creato un test di laboratorio per vedere come potrebbero guarire le ferite. Il modello prevede la coltivazione di uno strato bidimensionale di neuroni umani e, semplicemente graffiando lo strato con una sottile barra di metallo, hanno creato una "ferita" aperta priva di cellule su cui testare l’efficacia della loro creazione.
Secondo i ricercatori, un ulteriore sviluppo dei robot potrebbe portare ad altre applicazioni, tra cui la rimozione degli accumuli di placca nelle arterie dei pazienti affetti da aterosclerosi, la riparazione di danni al midollo spinale o ai nervi della retina, il riconoscimento di batteri o cellule tumorali o la somministrazione di farmaci a tessuti mirati. La ricerca proseguirà per comprendere a fondo i meccanismi alla base di questo processo: se riuscissero a mettere a punto una piattaforma efficace e versatile, le applicazioni potrebbero essere davvero molte.