occhio bionico

I sistemi di visione neuromorfici aprono prospettive avanzate nella visione artificiale: dall’occhio bionico in grado di emulare la visione cerebrale ai veicoli a guida autonoma

E se nel futuro le macchine potessero vedere e comprendere il mondo come lo facciamo noi? I veicoli a guida autonoma potrebbero vedere la strada come un guidatore esperto e i robot interagire con oggetti e persone in maniera più efficace. Un futuro che potrebbe non essere così lontano, grazie ai sistemi di visione neuromorfici, che imitano il modo in cui il cervello processa le informazioni visive. I ricercatori della RMIT University di Melbourne (Australia) hanno realizzato un nuovo microscopico sensore, che vede e memorizza le esperienze visive esattamente come un occhio umano, la ricerca è stata pubblicata su Advanced Functional Materials. È solo il primo passo verso la costruzione di occhi bionici di nuova generazione per ripristinare la vista nelle persone affette da gravi malattie degenerative della retina, ne parliamo in occasione della Giornata Mondiale della vista che quest’anno cade il 12 ottobre.  

LE MALATTIE DELLA RETINA

Oggi la disabilità visiva riguarda oltre 2,2 miliardi di persone nel mondo e 100mila solo in Italia, tra non vedenti totali e parziali. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel nostro Paese l’1,9% delle persone dai 15 anni in su soffre di gravi limitazioni sul piano visivo. Questa percentuale sale al 5,0% tra gli chi ha più di 65 anni e all’8,0% tra chi ha più di 75 anni.

Malattie come la degenerazione maculare o le distrofie retiniche possono portare alla cecità poiché comportano la distruzione dei fotorecettori della retina, le cellule che permettono la visione; patologie per le quali la ricerca nel campo delle terapie avanzate sta procedendo su più fronti. Una delle più note è la retinite pigmentosa, che comporta la perdita dei bastoncelli (che insieme ai coni costituiscono i fotorecettori della retina), con conseguente restringimento del campo visivo e perdita dell’acuità visiva, fino alla cecità. Per una specifica forma (la distrofia retinica ereditaria causate da mutazioni bialleliche del gene RPE65) esiste una terapia genica approvata nel 2018 dall’Agenzia Europea dei Medicinali e disponibile in Italia dal 2021.

IL FUTURO DELLE RETINE ARTIFICIALI

Ad oggi sono in corso di valutazione diverse innovative strategie terapeutiche, tra queste anche le retine artificiali o le protesi retiniche destinate ai pazienti con un avanzato stadio di malattia, che hanno perso del tutto o quasi l’acuità visiva. Gli elettrodi della protesi sostituiscono i fotorecettori distrutti trasformando gli stimoli luminosi in impulsi elettrici per stimolare le cellule retiniche sopravvissute, in particolare le cellule ganglionari, che trasmettono l’informazione al cervello.

Dall’approvazione della prima protesi retinica in Europa nel 2011 sono trascorsi più di 10 anni. Nel tempo hanno subito notevoli miglioramenti grazie all’avanzamento delle conoscenze mediche e dell’ingegneria. Le protesi moderne, ad esempio, hanno una densità di elettrodi maggiore e quindi una migliore risoluzione visiva, sono più sottili e conformi all’anatomia dell’occhio e percepiscono meglio i colori e un’ampia gamma di luminosità. Nel 2020, un gruppo di scienziati italiani ha progettato la prima retina artificiale liquida, formata da una soluzione acquosa in cui sono sospese nanoparticelle in grado di reagire agli stimoli luminosi e che viene iniettata direttamente nell’occhio senza l’ausilio di occhiali o microcamere.

L’obiettivo finale, però, non è solo quello di ripristinare la vista, ma di farlo in modo che la persona possa vivere l’esperienza visiva con la stessa naturalezza e intensità di prima. La nuova generazione di occhi bionici potrebbe non solo tradurre la luce in impulsi elettrici, ma anche replicare il modo in cui il cervello processa le informazioni visive, garantendo una prestazione più autentica ed efficace. Un giorno forse questo sarà possibile grazie ai sistemi di visione neuromorfici, che prendono ispirazione dal funzionamento dei circuiti neuronali preposti all’elaborazione delle immagini.

I ricercatori della RMIT University di Melbourne hanno realizzato un dispositivo dallo spessore di soli 3 nanometri – migliaia di volte più sottile di un capello umano – che può catturare, processare e immagazzinare dati in maniera molto simile all’occhio e al cervello di un essere umano, che è superiore a quella di qualsiasi videocamera.  

COME FUNZIONA LA VISIONE NEUROMORFICA

Una videocamera contiene milioni di fotorilevatori, i cosiddetti pixel, che assorbono la luce a la trasformano in un segnale elettronico. Ogni pixel misura il flusso di fotoni, cioè la quantità di luce che arriva sulla sua superficie in un dato intervallo di tempo. L’occhio funziona in modo leggermente diverso: i fotorecettori riportano solo le informazioni rilevanti, cioè le variazioni nel flusso dei fotoni. In altre parole, quando il numero dei fotoni è costante, l’occhio non invia alcun segnale – eppure noi continuiamo a vedere, perché l’immagine rimane “impressa” nel cervello. Non vediamo con gli occhi, ma con il cervello: questo costruisce delle “mappe” del mondo esterno svincolate dal sensore (cioè dello sguardo) e le aggiusta di continuo, in tempo reale, in base alle informazioni che giungono dall’esterno.

Così funzionano anche le videocamere neuromorfiche. Come è facile immaginare, uno dei punti di forza rispetto alle camere tradizionali è che richiedono meno energia per funzionare, perché i pixel devono trasmettere meno informazioni. Sono anche più veloci: una videocamera normale con un milione di pixel, in cui ognuno riceva in media 1000 fotoni per secondo, deve trasmettere al computer un flusso pari a un miliardo per secondo! Ma riportare in ogni istante l’immagine intera richiede tempo ed energia e, soprattutto, non è veramente necessario perché in una scena in genere non cambia nulla da un millisecondo all’altro. I sistemi di visione neuromorfica, quindi, richiedono meno energia e reagiscono più velocemente agli stimoli esterni. Come l’occhio umano, possono adattarsi meglio alle variazioni ambientali, raggiungere velocità di elaborazione superiori e creare “memorie” visive. 

APPLICAZIONI FUTURE

I ricercatori di Melbourne per il momento hanno realizzato un prototipo sensibile ai raggi UV, ma stanno lavorando per includere uno spettro più ampio di fonti luminose, compresi la luce visibile e l’infrarosso. L’occhio bionico, che permetterebbe di restituire la vista a chi la ha perduta o addirittura a chi non ha mai potuto vedere, è solo una delle possibilità. Una tecnologia in grado di valutare enormi quantità di informazioni visive in tempo reale apre la strada a una vasta gamma di applicazioni, come auto a guida autonoma che interpretano situazioni pericolose quasi istantaneamente o robot con una migliore percezione visiva e quindi in grado di interagire con il mondo circostante in modo più naturale.

Con il contributo incondizionato di

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