Idrogel

I ricercatori del Politecnico di Torino hanno elaborato una tecnica per la stampa 3D di materiali autoriparabili, che potrebbe avere applicazioni in medicina rigenerativa

Quello che cinquant’anni fa appariva del tutto fantascientifico oggi si fa incredibilmente vicino alla realizzazione e anche un eroe dei fumetti Marvel come Wolverine, dotato della capacità di guarire rapidamente dalle proprie ferite, sembra meno avveniristico se si considera che in alcuni laboratori del mondo gli scienziati sfruttano le cellule staminali per riparare le lesioni. Ma tra le innovazioni tecnologiche più affascinanti per l’ingegneria tessutale figurano gli idrogel: un gruppo di ricerca italiano è riuscito a produrne una versione in grado di autoripararsi dopo una lacerazione. I risultati della ricerca sono stati pubblicati di recente sulla rivista Nature Communication.

Sono polimeri caratterizzati da un altissimo contenuto d’acqua e, grazie alle loro caratteristiche e agli studi degli ultimi anni, gli idrogel sono già impiegati per la realizzazione di protesi al seno e di preparati farmaceutici da applicare su lesioni e ustioni. Su questo tipo di materiale un gruppo di ricercatori del team MP4MNT (Materials and Processing for Micro and Nanotechnologies) presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Applicate del Politecnico di Torino ha lavorato intensamente, riuscendo a produrre un idrogel definito da un’architettura complessa, con la capacità di ripararsi da solo dopo una lesione. Tutto ciò ricorrendo ad una particolare forma di stampa 3D attivata dalla luce.

L’interesse per gli idrogel (di cui abbiamo parlato qui) è particolarmente elevato, soprattutto nel campo della medicina. Tuttavia, affinché ciò sia possibile essi devono essere in grado di riprodurre le complesse architetture dei tessuti da ricostruire e devono potersi autoriparare in maniera autonoma. Per quanto possa apparire complicato che un materiale colloide possieda le stesse caratteristiche dei tessuti viventi, sfruttando le interazioni elettrostatiche o tramite la creazione di specifici legami chimici sono già stati messi a punto in laboratorio diversi modelli di idrogel. Tuttavia, l’autoriparazione richiede la formazione di nuovi legami, anche differenti da quelli della rete di polimeri, e non è facile ottenerli senza il ricorso alle cosiddette reti Interpenetrate (IPN, InterPenetrated Network) che combinano una struttura rigida e robusta con una rete basata su legami reversibili.

Gli idrogel realizzati con questa filosofia si adattano meglio alle caratteristiche della stampa 3D e, infatti, i ricercatori guidati dal prof. Candido Fabrizio Pirri, del Center for Sustainable Future Technologies presso l’Istituto Italiano di Tecnologia di Torino, hanno realizzato un modello di idrogel usando materiali reperibili sul mercato e lavorandoli con una stampante commerciale. L’approccio proposto è diventato non solo flessibile ma anche economico e potenzialmente applicabile all’ambito biomedicale e a quello della soft-robotics, cioè quel settore della robotica che sviluppa dispositivi compositi, ad esempio le protesi composte da materiali morbidi e flessibili.

I ricercatori piemontesi, in collaborazione con il gruppo di ricerca del prof. Shlomo Magdassi dell’Università Ebraica di Gerusalemme (Israele), hanno dimostrato di poter stampare il loro idrogel autoriparante in 3D ricorrendo al principio della stereofotografia, una tecnica basata sulla fotopolimerizzazione all’interno di una vasca di una resina liquida, sensibile alla radiazione ultravioletta. Strato dopo strato, quest’ultima innesca una solidificazione localizzata della resina, portando di fatto a una struttura tridimensionale unica nel suo genere in quanto a geometria e dotata di proprietà di autoriparazione. Il prossimo passo per gli studiosi italiani consiste nel pianificare - presso il laboratorio PolitoBIOMed Lab del Politecnico di Torino - gli studi di biocompatibilità i quali, se daranno risultato positivo, apriranno la strada ad un utilizzo estensivo e decisamente vantaggioso di questo nuovo materiale, non limitandosi alla sola medicina rigenerativa.

Nell’immaginario collettivo le ferite del personaggio della Marvel che si ricuciono all’istante eserciteranno sempre un fascino futuristico e suggestivo, ma un materiale come quello creato dal gruppo di ricerca italiano sta già permettendo di fare cose ritenute impossibili quando il fumetto ha visto per la prima volta la luce.

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