L’articolo dell’International Society for Stem Cell Research approfondisce l’argomento, analizzando lo stato attuale della ricerca, della regolamentazione e le controversie etiche
Generare modelli in vitro in grado di replicare aspetti dello sviluppo embrionale precoce a partire da cellule staminali umane e di topo: un ambito della ricerca che da qualche anno viene portato avanti da diversi laboratori nel mondo e che sta progredendo sempre di più. Specialmente nei topi, i modelli riproducono alcune fasi chiave riguardo al destino delle cellule e imitano le disposizioni spazio-temporali dei tessuti embrionali ed extra-embrionici che avvengono durante lo sviluppo e l’impianto in utero. Se si riuscisse a fare la stessa cosa con modelli di embrione umano, la scienza biomedica ne trarrebbe grande beneficio e si potrebbero comprendere meglio le fasi iniziali dello sviluppo. Ad oggi però, come descritto nell’articolo pubblicato a metà gennaio su Stem Cells Reports, mancano delle linee guida definite per la gestione di questi studi.
Partendo dal momento della fecondazione, ci sono due processi fondamentali nello sviluppo di un mammifero: la formazione di tessuti extra-embrionici (quelli che alimentano l’embrione e lo collegano ai tessuti materni) e quella dei tre strati di cellule germinali che daranno origine ai tessuti del futuro feto. Gli studi in vivo di questo processo sono particolarmente complessi e solo di recente sono stati applicati agli embrioni umani in sovrannumero provenienti dalla fecondazione assistita. Le blastocisti (così chiamata la fase che va dal 4° al 14° giorno dalla fecondazione) umane ricavate non sono però in grado di svilupparsi in maniera ottimale nelle tre dimensioni e nella maggior parte dei casi le cellule degenerano. Grazie alle più recenti tecniche di laboratorio, si può favorire lo sviluppo tridimensionale ma, una volta migliorate le condizioni di cultura, si rischierà di sforare la regola - accettata a livello internazionale - che impone di non far sviluppare un embrione in vitro oltre i 14 giorni.
Le limitazioni imposte dagli embrioni umani “classici” potrebbero essere evitate – o quantomeno rivalutate – prendendo in considerazione per le sperimentazioni cliniche i modelli di embrioni umani derivati da cellule staminali. Una cosa da non sottovalutare di questo ipotetico cambio di paradigma è la possibilità di crearli direttamente in laboratorio e nelle quantità necessarie, dato che il numero di embrioni disponibili per la ricerca è al momento ridotto proprio a causa della loro origine che solleva complesse questioni bioetiche. Inoltre, si potrebbero studiare meglio le fasi iniziali dello sviluppo umano, le sue problematiche e gli effetti dell’editing genomico. Ad oggi ancora non si possono superare i pochi giorni in vitro, ma nel prossimo futuro sarà molto probabile il confronto tra embrioni derivati dalle cellule staminali e quelli “classici”, perché le differenze verranno pian piano appianate. Tutto questo potrebbe ridurre l’uso della sperimentazione animale e permetterebbe di avere a disposizione modelli totalmente compatibili con gli esseri umani, alleggerendo così la questione etica.
L’ambito di ricerca è molto recente e, proprio per questo, non esiste ancora una regolamentazione dedicata e chiara al riguardo. Basti pensare alla sola definizione legalmente accettata di “embrione umano”, che varia a seconda dei Paesi e delle leggi in materia. Anche ad un embrione umano creato a partire da cellule staminali si dovrebbe applicare la regola dei 14 giorni? Difficile dirlo, dato che le cellule staminali riprogrammate non hanno una cronologia di sviluppo precisa e identica a quella standard. A tutti questi dubbi, va aggiunta anche la mancanza di una normativa stringente sulle cellule staminali: è vero che le terapie cellulari seguono regolamentazioni precise, ma spesso le cellule staminali rientrano in “zone grigie”, sfuggendo così all’applicazione delle leggi (con tutte le conseguenze del caso).
Come viene sottolineato alla fine dell’articolo, è fondamentale avviare un dibattito costruttivo sul tema che permetta il confronto e la supervisione etica su questo tipo di ricerche. Vengono espresse sei considerazioni etiche generali sui modelli embrionali e altrettante raccomandazioni sulla supervisione della ricerca su specifici modelli di studio: questo vorrebbe portare a una supervisione normativa per il futuro. La sesta raccomandazione afferma che “nessun modello di embrione umano che rientra nelle categorie sopracitate dovrebbe essere trasferito in vivo in utero animale o umano”. Le linee guida della ISSCR, pubblicate nel 2016, offrono una base da cui far partire il dibattito, ma vanno aggiornate e ampliate in virtù delle nuove conoscenze e sperimentazioni.