Se fossero un videogioco, le CAR-T sarebbero senza dubbio “space invaders” e le CAR-M il ben noto “Pac-Man”. La differenza tra le due strategie sta infatti nelle proprietà intrinseche delle cellule immunitarie utilizzate rispettivamente per il loro sviluppo: se le cellule T funzionano infatti bersagliando gli antigeni per distruggerli (sostanze riconosciute come estranee o pericolose dal sistema immunitario), proprio come il cannone mobile di Space invaders, i macrofagi svolgono invece la loro funzione “mangiando” le cellule nemiche, esattamente come Pac-man. A mettere a punto la nuova immunoterapia CAR-M – promettente contro i tumori solidi – è stato un gruppo di ricercatori della Perelman School of Medicine dell'Università della Pennsylvania (Stati Uniti), che lo scorso 23 marzo ha pubblicato i primi risultati preclinici su Nature Biotechnology.
Chi avrebbe mai potuto pensare che la risposta preventiva più concreta contro un virus sarebbe potuta giungere proprio da un altro virus? Eppure è proprio così perché nel percorso di sviluppo di un vaccino contro il Coronavirus che sta mettendo in ginocchio il mondo intero, l’asso nella manica dei ricercatori potrebbe essere proprio un virus. La strategia si basa sull’utilizzo di un adenovirus per veicolare all’interno dell’organismo un gene in grado di innescare il processo di immunizzazione contro SARS-CoV-2. Una strategia che richiama alla mente quella utilizzata nella terapia genica. Ed è con una punta di orgoglio che annotiamo una partecipazione italiana alla realizzazione di questo vaccino genetico che, come comunicato dallo stesso amministratore delegato di IRBM Science Park, Piero di Lorenzo, inizierà la sperimentazione sull’uomo proprio a fine aprile.
Un gruppo di scienziati cinesi ha creato un globulo rosso “invisibile”, in grado cioè di nascondere le caratteristiche che lo rendono riconoscibile dal sistema immunitario di un organismo con gruppo sanguigno diverso in caso di trasfusione. Lo studio pubblicato a marzo su Science Advances, potrebbe essere un passo avanti verso la creazione del sangue universalmente compatibile, aumentando le possibilità in medicina d’emergenza e riducendo i rischi legati alle carenze di donazioni, problema presentatosi anche durante la pandemia di COVID-19. Inoltre, molte sono le malattie che dipendono dalle donazioni di sangue e, sebbene in alcuni casi le terapie avanzate stiano soppiantando la pratica delle trasfusioni (ad esempio nel caso dell’emofilia e della beta-talassemia), in molti casi restano fondamentali per la sopravvivenza.
Individuare i modelli di studio più adeguati per certe malattie non è affatto facile. Specie se ci si inoltra nel campo delle patologie autoimmuni che provocano nel paziente uno stato infiammatorio cronico esteso anche a più organi. Se, poi, uno dei sistemi toccati è quello gastrointestinale, con i miliardi di batteri “buoni” della flora batteria intestinale, il livello di complicazione sale ancora di più. Le delicate interconnessioni tra gli svariati tessuti danneggiati da certe patologie infiammatorie possono essere studiate solo ricorrendo a modelli come quelli degli organoidi che rendano una visione olistica del quadro.
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