Si tratta di una notizia che è stata riportata da molte testate giornalistiche, non solo perché il successo di questo intervento è da ascrivere ad un team di ricerca tutto italiano ma anche - e soprattutto - perché i piccoli pazienti che soffrono di queste rare patologie non possono far altro che attendere un trapianto di fegato che, purtroppo, non sempre si rende possibile nei primi mesi di vita con conseguenze per molti di loro spesso fatali. Pubblicato lo scorso dicembre sulla rivista internazionale Stem Cell Reviews and Reports, lo studio ha coinvolto medici e ricercatori dell’Ospedale Regina Margherita e dell’Ospedale Molinette afferenti alla Città della Salute di Torino, oltre che del Centro Interdipartimentale di Ricerca per le Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino (MBC). Un assalto diretto e plurispecialistico ad un insieme di patologie le cui ricadute sui neonati rischiano di diventare davvero molto gravi.
Chi pensava che il potere di CRISPR fosse illimitato si sbagliava di grosso perché se c’è una cosa che l’evoluzione ci insegna è che nulla al mondo è definitivo. Il sistema di protezione dalle infezioni virali noto come CRISPR, che in questi anni per il grande pubblico ha assunto le fattezze di uno strumento di precisione chirurgica per modificare il DNA, correggendo di fatto le sequenze contenti quelle mutazioni che causano gravi malattie, può essere fermato. E ciò presumibilmente grazie a dei virus che, nel tempo, sono riusciti a eluderne l’elaborato sistema di controllo. La notizia è di quelle che potrebbe far tremare i polsi di ricercatori e investitori ma, a ben guardare, sono più i vantaggi che gli svantaggi che porta con sé questa sensazionale scoperta di cui si è parlato anche sulla rivista Nature lo scorso 25 gennaio.
Da anni ormai si parla di terapia genica per sconfiggere, per lo più, malattie incurabili ed ereditarie, come l’ADA-SCID (la prima malattia ad essere trattata in Europa con questo approccio) o la beta-talassemia, l’ultima in ordine di tempo a ricevere l’approvazione per un trattamento di questo tipo. Quello che invece risulta essere una vera e propria novità nel campo delle terapie avanzate è la cura della dipendenza da sostanze d’abuso, in particolare la cocaina in particolare. L’idea è portata avanti da un gruppo di ricercatori della Mayo Clinic di Rochester nel Minnesota (USA), il cui obiettivo è raggiungere l’approvazione, da parte della Food and drug administration (FDA) statunitense, per una prima sperimentazione clinica in pazienti con abuso di cocaina. Obiettivo che sembra più vicino dopo il recente studio pubblicato su Human Gene Therapy.
Ieri è stata firmata la convenzione tra l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena e Holostem per la realizzazione di una nuova area di Dermatologia al Policlinico, dedicata ai pazienti affetti da epidermolisi bollosa (EB) e alla diagnosi e gestione dei tumori della pelle, che spesso colpiscono i cosiddetti “bambini farfalla”. Grazie al milione di euro investiti sul progetto, entro la fine del 2020 verrà realizzato l’EB HUB, un centro unico nel suo genere che ha l’obiettivo di essere il luogo di riferimento per i pazienti EB di tutto il mondo e di fungere da punto d’incontro tra diagnosi, ricerca, assistenza e terapie avanzate per la EB.
L’idea di inserire nelle cellule una copia del gene “sano” per ovviare alle conseguenze di una mutazione patogena risale agli anni ’70, ma la prima terapia genica è stata approvata solo nel 2003 in Cina (Gendicine), dopo più di 30 anni di successi e sconfitte nella ricerca. Da allora le cose si sono velocizzate: in Europa la prima autorizzazione risale al 2012 e, ad oggi, sono 6 le terapie geniche approvate nel vecchio continente. Diverse sono le aziende farmaceutiche e biotecnologiche che si sono impegnate in prima linea nella ricerca e nello sviluppo delle terapie avanzate. Tra queste anche Pfizer, Marianne Rodger - Direttore Malattie Rare Pfizer Italia - ci racconta l’impegno dell’azienda in questo rivoluzionario campo biomedico.
Se il nostro DNA è un enorme “libretto delle istruzioni” per le cellule, che in ogni momento devono attingere da queste informazioni per svolgere le proprie funzioni, basterebbe saltare “un’istruzione” sbagliata per evitare l’insorgere di una malattia causata da un difetto genico. È quello che ha provato a fare un gruppo di ricerca internazionale, guidato da Martin Marsala dell’University of California San Diego School of Medicine, che ha utilizzato una corta molecola di RNA, per silenziare il gene disfunzionale SOD1, causa di una forma genetica di sclerosi laterale amiotrofica (SLA). I test – condotti per ora solo su modelli animali – hanno portato alla prevenzione e al blocco (a seconda dello stadio della malattia) della degenerazione dei neuroni motori.
Website by Digitest.net