Il primo e più importante parametro per capire se le CAR-T funzionino davvero è la proporzione di pazienti andati incontro a remissione. Oltre, ovviamente, a capire se la terapia è anche sicura e ben tollerata dall’organismo. Lo studio clinico ELIANA ha dato risposte concrete a questi interrogativi tanto che tisagenlecleucel – con il nome commerciale Kymriah - ha ricevuto il via libera alla commercializzazione prima dall’EMA e poi, circa tre mesi fa, anche dall’AIFA.
Tuttavia, un altro obiettivo di ELIANA era quello di tracciare un quadro dell’impatto che la terapia con le cellule CAR-T ha avuto sui pazienti trattati e, per raggiungerlo, medici e infermieri hanno raccolto ed analizzato i dati prodotti dai pazienti stessi attraverso la compilazione di specifici questionari (Pediatric Quality of Life Inventory, PedsQL, e European Quality of Life-5 Dimensions questionnaire, EQ-5D).
Nei laboratori di ricerca di tutto il mondo gli scienziati stanno lavorando su tre grossi filoni di ricerca identificabili nella capacità di trasferire informazioni genetiche per correggere quelle difettose o per istituire nuove funzioni cellulari, sfruttando a volte anche le cellule staminali, e nella possibilità di manipolare le cellule del sistema immunitario rendendole in grado di attaccare cellule nocive come quelle tumorali. Le terapie avanzate, di cui si sente spesso parlare nell’accezione di terapia genica, editing genomico, immunoterapia o terapia cellulare, stanno offrendo modo di sviluppare approcci terapeutici per malattie, fino a pochi anni fa, ritenute incurabili.
Gli screening genomici delle cellule servono per identificare i principali regolatori genetici di un determinato fenotipo (cioè l’insieme delle caratteristiche che un organismo manifesta) di interesse e le eventuali mutazioni, o segnali, inserite dai ricercatori per riconoscerle. Tuttavia, il processo richiede l’analisi di un gran numero di cellule, cosa che aumenta i tempi operativi e limita la vitalità delle cellule stesse. Un dispositivo portatile simile a un chip, che sfrutta dei minuscoli magneti per individuare le cellule in cui Crispr-Cas9 ha introdotto la modifica voluta, potrebbe essere la soluzione. Si tratta del MICS (MIcrofluidic Cell Sorting), un metodo che coniuga ingegneria e genetica, e che permetterà ai ricercatori di accelerare i tempi di analisi del genoma e delle proteine per trovare nuovi obiettivi farmacologici. Lo studio, pubblicato a fine settembre su Nature Biomedical Engineering, è stato condotto presso la l’Università di Toronto.
Zolgensma, la terapia genica sviluppata per combattere l’atrofia muscolare spinale (SMA) - nata dalla ricerca di AveXis e messa in commercio da Novartis - sta raccogliendo notevoli risultati. Approvata lo scorso maggio dal FDA (Food and Drug Administration) negli Stati Uniti per il trattamento di bambini SMA di età inferiore a due anni e con mutazione nei due alleli del gene SMN1, Zolgensma è stata ad oggi somministrata a 100 bambini in US. Inoltre, nuovi dati preliminari di uno studio clinico in corso su questa promettente terapia genica indicano buoni risultati di efficacia anche su bambini affetti da SMA di tipo 2 fino a 5 anni di età.
Sono ormai 7 anni che fa parlare di sé e, quasi quotidianamente, una nuova ricerca con CRISPR come protagonista viene pubblicata sulle maggiori riviste scientifiche del mondo. Le novità e i perfezionamenti di questa tecnica di editing genomico sono continui, dato che ormai non c’è laboratorio al mondo che non l’abbia utilizzata almeno una volta. Infatti, CRISPR è cinque volte più utilizzato di qualsiasi altro strumento di editing genomico (Fonte: Cell Trials Data). Il 21 ottobre è stato pubblicato su Nature un articolo che descrive il ‘prime editing’, un nuovo metodo di editing genomico basato su CRISPR che permetterebbe di avere più controllo sulle correzioni, più precisione e flessibilità.
Se uno dei maggiori temi di discussione – o per meglio dire preoccupazione – intorno alle terapie geniche e cellulari è l’elevato costo di produzione che ne mina l’accessibilità anche nei Paesi più sviluppati, c’è già chi pensa a renderle disponibili anche in zone del mondo con scarsissime risorse economiche. Motivo che ha portato all'accordo tra la Bill & Melinda Gates Foundation e i National Institutes of Health (gli Istituti Nazionali di Sanità degli Stati Uniti).
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