Quando viene illustrato il dogma della biologia molecolare, con il passaggio dell’informazione genetica dagli acidi nucleici alle proteine, a guadagnarsi il ruolo dell’attore protagonista è sempre il DNA. In maniera analoga quando si discute di terapia genica o di editing genomico, il primo pensiero corre subito alle modifiche del DNA. Tutto questo a discapito dell’RNA, molecola di indiscusso valore che negli ultimi due decenni ha raggiunto una grande notorietà grazie anche allo sviluppo di un nuovo settore terapeutico basato sul meccanismo di interferenza a RNA. Le sue applicazioni cliniche stanno conquistando l’interesse di vari gruppi di ricerca, come quello coordinato dalla prof.ssa Michela Denti, del CIBIO di Trento, che da più di dieci anni si occupa di malattie neurodegenerative.
La malattia granulomatosa cronica (CGD) è una immunodeficienza primitiva rara (1 caso su 217.000 nati a livello mondiale), caratterizzata da suscettibilità alle infezioni da parte di funghi e batteri e dalla presenza di granulomi, cioè ammassi di tessuto infiammato, in tutto il corpo. Infatti, in questo caso i neutrofili, un tipo di globuli bianchi, non sono in grado di rispondere agli agenti estranei e svolgere la loro attività difensiva. Un recente studio pubblicato su Nature Medicine analizza i risultati preliminari della terapia genica su nove pazienti affetti CGD legata al cromosoma X, forma che colpisce il 65% dei pazienti in Nord America e Europa Occidentale e che è causata da mutazione sul gene CYBB. Si tratta del primo studio clinico con terapia genica per CGD e i risultati sono promettenti.
Il nome di Andrea Crisanti è noto ai più per il caso studio di Vo’ Euganeo e per la strategia di sorveglianza attiva che sta aiutando il Veneto ad arginare l’epidemia di COVID-19. Ma il medico romano è anche il pioniere di una tecnologia di frontiera per il controllo della malaria: il "gene drive". L’idea, sviluppata con il suo gruppo di ricerca dell’Imperial College di Londra e pubblicata l’11 maggio su Nature Biotechnology, consiste nel modificare le zanzare che trasmettono il plasmodio della malaria, appartenenti alla specie Anopheles gambiae, in modo tale da far nascere solo gli esemplari del sesso che non punge. Non essendoci abbastanza femmine per sostenere la riproduzione, le popolazioni di insetti vettori collasserebbero e si fermerebbe la trasmissione della malattia.
Alla presentazione di un prototipo di Formula 1 vincente tutti rimangono a bocca aperta di fronte al prodotto finale, spesso incapaci di comprendere che l’autentica rivoluzione sul piano tecnico giace sotto una carrozzeria fiammante. Un concetto che serve a dimostrare la centralità della ricerca di base in ogni campo del sapere umano dall’ingegneria alla biologia: ecco perché la scoperta di un gene che permetta di “conservare” la pluripotenza delle cellule staminali può spalancare porte finora rimaste sprangate nella ricerca di nuovi trattamenti per patologie ancora senza risposta. Lo studio è stato pubblicato il 12 maggio su Nature Communications e porta la firma del prof. Graziano Martello, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova, che ci racconta la sua ricerca.
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