Lo SMA Research & Clinical Care è un evento che permette a pazienti, caregiver, operatori sanitari e ricercatori di confrontarsi e condividere i risultati ottenuti. Durante l’evento, che si è svolto di recente a Orlando (Stati Uniti), l’azienda Biogen ha presentato i dati clinici preliminari dello studio Respond, che ha l’obiettivo di valutare il beneficio clinico e la sicurezza della somministrazione di nusinersen, una terapia che ha come bersaglio l’RNA, dopo il trattamento con la terapia genica per l’atrofia muscolare spinale. Onasemnogene abeparvovec (terapia genica nota anche con il nome commerciale Zolgensma) potrebbe, infatti, non essere in grado di agire in maniera ottimale su tutti i pazienti e questo si tradurrebbe in una progressione della malattia: l’assunzione di nusinersen andrebbe incontro alle esigenze cliniche di questi pazienti.
Il futuro della diagnostica in medicina è destinato a incrociare sempre di più la strada dell’intelligenza artificiale (AI). Grazie ai metodi di apprendimento automatico, le AI possono essere addestrate per identificare malattie con una affidabilità sovrapponibile a quella del medico o addirittura con anni di anticipo rispetto alla comparsa dei primi sintomi clinici. La sfida è aperta, soprattutto per le malattie neurodegenerative per cui una diagnosi precoce può fare la differenza. Nelle prime fasi della malattia di Parkinson, ad esempio, i farmaci sono più efficaci e possono rallentarne o modificarne il decorso. Due studi pubblicati su ACS Central Science e su Nature Medicine esplorano le potenzialità dell’AI per accelerare le diagnosi di Parkinson, anche con 10 anni di anticipo.
L’apertura dello scrigno delle terapie avanzate ha consentito a biologi e biotecnologi di tutto il pianeta di aver accesso a strumenti - come il sistema di editing genomico Crispr-Cas9 - che nel giro di pochi anni hanno cambiato il volto della ricerca scientifica. Seppur sia improprio parlare di un’esplosione delle terapie avanzate, dal momento che il percorso che ha condotto alla loro affermazione è ben più graduale di quel che sembra, bisogna riconoscere che oggi stanno permettendo di puntare ad innovativi strumenti di cura per condizioni genetiche - fra cui la malattia di Huntington - per le quali la medicina tradizionale non aveva sortito alcun effetto.
Non solo tumori. Le terapie a base di cellule CAR-T potrebbero rivelarsi una nuova modalità di trattamento anche per altre importanti malattie, come l’infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV) che colpisce ancora circa 38 milioni di persone in tutto il mondo. Due persone HIV positive (HIV+) sono state, infatti, trattate con una terapia CAR-T in uno studio clinico di Fase I/II condotto negli Stati Uniti. Obiettivo del trial, che mira a reclutare 18 pazienti e che dovrebbe concludersi entro la fine del 2025, è valutare la sicurezza e l’efficacia dell’innovativo trattamento e stabilire la dose adeguata. A raccontarne i dettagli su Nature Medicine, è lo science writer Thiago Carvalho.
“La natura non fa salti”, hanno affermato molti pensatori del passato, ma i genetisti dei giorni nostri possono indicare molte eccezioni alla regola. I trasposoni sono geni mobili per eccellenza e saltano da un punto all’altro del genoma. In particolare quelli associati al sistema OMEGA, scoperto due anni fa nei batteri, si dirigono in punti di atterraggio prescelti grazie a una sorta di GpS programmabile simile a CRISPR. E ora un fenomeno del genere è stato individuato anche negli organismi con cellule dotate di nucleo, i cosiddetti eucarioti di cui fanno parte funghi, piante e animali. Il gruppo di Feng Zhang ha già iniziato a studiare al Broad Institute di Boston il potenziale di questi elementi, detti Fanzor, come strumenti di editing genomico e lo scorso 28 giugno ne ha svelato il funzionamento su Nature.
È di fine marzo la notizia di un grosso investimento – oltre 21 milioni di dollari - alla Johns Hopkins University School of Medicine a sostegno della ricerca per portare a termine una sperimentazione clinica sugli xenotrapianti sull’uomo. Gli ultimi anni hanno portato a notevoli traguardi nell’ambito dei trapianti di organi provenienti da animali nell’essere umano: gli organi di maiale, in particolare cuore e reni geneticamente modificati, sono stati i primi ad essere utilizzati in questa procedura, anche se solo in casi isolati e in condizioni particolari. Sebbene le conoscenze siano aumentate e le procedure fatte finora abbiano dato buoni risultati – nel caso dei reni su tre persone in stato di morte cerebrale e del cuore trapiantato su un ricevente vivo, che è sopravvissuto per circa due mesi – le domande sul futuro degli xenotrapianti restano. Un articolo pubblicato su Nature Biotechnology fa il punto della situazione, raccogliendo il pensiero di un gruppo di esperti sul tema.
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