Michele è un ragazzo come tanti: quasi 18 anni, la famiglia, gli amici, la scuola superiore e ora tutta l’estate davanti. Ma ha una storia che pochi altri al mondo possono raccontare: una storia di scienza, medicina e innovazione, che ha visto come protagonista un incontro fortuito tra le sue cellule staminali ematopoietiche e CRISPR. Michele è, infatti, uno dei giovanissimi pazienti con beta-talassemia che ha partecipato allo studio clinico internazionale CLIMB-111, ideato per valutare la terapia basata su Crispr-Cas9 e che in Italia ha coinvolto l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. La terapia - denominata exagamglogene autotemcel o con il nome commerciale Casgevy - è da pochi mesi autorizzata in Europa e Michele è uno di quei ragazzi che, testandola sulla propria pelle, hanno permesso che si arrivasse a questo successo. Maria, sua mamma, ha raccontato la storia del loro percorso a Osservatorio Terapie Avanzate.
Se Frederick Grant Banting - che nel 1923 ricevette il Premio Nobel per la scoperta dell’insulina - potesse tornare oggi in vita e continuare le sue ricerche, sarebbe di certo affascinato da quanto i progressi della tecnologia abbiano rivoluzionato la vita dei pazienti affetti dal diabete, la malattia cronica su cui i suoi studi hanno avuto un così straordinario impatto. E, se non fosse prematuramente scomparso in un incidente aereo nel 1941, forse Banting avrebbe fatto la conoscenza di Arnold Kadish che, negli anni Sessanta, mise a punto il primo rudimentale prototipo di microinfusore per il rilascio continuo di insulina. Fu quello il primo passo verso una strada oggi segnata dall’innovazione tecnologica che sta rendendo sempre più semplice la vita di milioni di diabetici in tutto il mondo.
David Liu e il suo gruppo di ricerca al Broad Institute del MIT e di Harvard - già culla delle prime versioni di CRISPR - hanno migliorato l’approccio di prime editing per poter essere potenzialmente utile per applicazioni terapeutiche. L’idea alla base di questa evoluzione è quella di sviluppare una singola terapia genica per malattie come la fibrosi cistica, che può essere causata da centinaia o migliaia di mutazioni diverse che possono colpire un solo gene. Con questo nuovo approccio, i ricercatori potrebbero inserire una copia sana del gene nella sua posizione nativa nel genoma, evitando di dover creare una terapia per correggere ogni diversa mutazione utilizzando altri approcci di editing genomico che apportano modifiche puntuali. Lo studio è stato pubblicato a giugno su Nature Biomedical Engineering.
È considerato l’equivalente del Premio Nobel in ambito farmaceutico - perciò è uno dei riconoscimenti più ambiti dalle case farmaceutiche di tutto il mondo - ma a guardarne nel dettaglio l’organizzazione assomiglia più ai Golden Globes o ai Premi Oscar dal momento che celebra i vincitori in più e diverse categorie. È il Prix Galien, il premio istituto nel 1970 in Francia per iniziativa di Roland Mehl, un farmacista desideroso di dare risalto ai più significativi progressi nella produzione di nuovi farmaci. La scorsa edizione italiana ha visto in gara 7 categorie tra cui quella dedicata alle terapie avanzate dove ha trionfato tabelecleucel, l’immunoterapia sviluppata da Pierre-Fabre - e autorizzata in Europa da fine 2022 - destinata al trattamento dei pazienti con malattia linfoproliferativa post-trapianto positiva al virus di Epstein-Barr.
Il 20 giugno Sarepta Therapeutics, l’azienda che produce delandistrogene moxeparvovec-rokl (nome commerciale Elevidys), ha annunciato l’autorizzazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) statunitense dell’ampliamento dell’indicazione d’uso della terapia genica per la distrofia muscolare di Duchenne (DMD). Grazie a questa autorizzazione potranno essere inclusi tutti i pazienti affetti da DMD di età superiore ai 4 anni, a prescindere dallo stato di deambulazione, con l’unica esclusione dei pazienti che presentano delezioni nell’esone 8 e/o 9 del gene della distrofina. Elevidys era stata precedentemente approvata negli Stati Uniti con procedura accelerata per bambini, deambulanti, di età compresa tra i 4 e i 5 anni affetti da DMD con mutazione confermata nel gene della distrofina.
A una lettura superficiale potrebbe sembrare una notizia di quelle capaci di scuotere dalle fondamenta il castello della più promettente terapia avanzata giunta sul mercato negli ultimi anni. Numerosissimi elementi sono ancora in fase di valutazione per cui vale la regola d’oro della prudenza nelle affermazioni, soprattutto per rispetto dei tanti pazienti che hanno già ricevuto il trattamento e sono nelle fasi di monitoraggio da parte dei medici. Ma è impossibile ignorare come anche il New England Journal of Medicine, una delle più autorevoli riviste scientifiche di medicina, abbia dedicato ampio spazio all’indagine sul rischio che le terapie a base di cellule CAR-T possano essere causa dell’insorgenza di nuovi tumori nei pazienti a cui sono state somministrate. Tematica che OTA aveva già affrontato all’inizio dell’anno.
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