Nel nostro Paese la donazione del proprio corpo alla scienza è possibile e normata dalla Legge, ma i numeri parlano chiaro: pochissime persone optano per questa scelta. Le motivazioni sono molteplici e vanno dalle più personali, come ad esempio la religione, alla poca conoscenza sul tema che porta a non considerare la pratica. Infatti, basta pensare a quanto siano più conosciute la donazione di sangue e di organi per rendersi conto della totale mancanza di campagne informative su questo tema. Di recente, la morte di Sammy Basso - giovane ricercatore affetto da progeria (o sindrome di Hutchinson-Gliford), che lavorava su CRISPR e che ha lasciato il suo corpo alla scienza affinché si possa studiare la sua rarissima malattia - ha puntato i riflettori su questa pratica poco diffusa in Italia.
Alle terapie avanzate è stato spesso attribuito un intrigante fascino futuristico, quasi come se fossero collocate ben al di là di un immaginario confine tra presente e futuro. Invece, esse sono già entrate a far parte dello scenario medico attuale portando nuove sfide nel sistema economico-sanitario che regola l’introduzione dei nuovi farmaci da distribuire attraverso il Servizio Sanitario nazionale (SSN). Perciò, mai come adesso si ravvisa l’urgenza di affrontare il tema dell’Health Technology Assessment (HTA) per queste innovative terapie. Un importante momento di confronto in quest’ambito si è svolto tra esperti, clinici, decisori e rappresentanti dell’industria in occasione del Simposio dal titolo “Sfide e complessità dell’HTA delle terapie geniche: il modello dell’emofilia” organizzato nella cornice del XVII Congresso nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment (SIHTA), svoltosi a Roma dal 5 al 7 novembre.
A inizio ottobre sono stati pubblicati sul The New England Journal of Medicine (NJEM) gli esiti a lungo termine dei pazienti trattati con la terapia genica elivaldogene autotemcel (eli-cel, nome commerciale Skysona), evidenziando l’efficacia ma anche alcuni problemi di sicurezza. I dati pubblicati mostrano che 7 dei 67 bambini che hanno ricevuto la terapia genica sviluppata da bluebird bio per l’adrenoleucodistrofia cerebrale (CALD), nel contesto di studi clinici, hanno poi sviluppato tumori del sangue. Di questi sette casi, quattro sono stati sviluppati da giugno 2022, quando tre casi di cancro avevano già messo in allerta la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, che ha poi approvato la terapia in seguito a ulteriori valutazioni. I ricercatori temono che nei prossimi anni altri pazienti potrebbero sviluppare il cancro e per questo li stanno monitorando con regolari prelievi di sangue.
A fine Ottocento, il chirurgo newyorkese William Coley osservò per primo la completa regressione di un osteosarcoma in seguito a un’infezione da streptococco. Come raccontato da OTA nel podcast “Reshape – Un viaggio nella medicina del futuro”, fu così che iniziò a iniettare nei pazienti oncologici una miscela batterica, dando origine alla prima forma di immunoterapia della storia. Sebbene all’epoca non fosse chiaro il loro meccanismo, oggi sappiamo che i batteri possono stimolare il sistema immunitario a combattere i tumori. Più di un secolo dopo la scoperta di Coley, è possibile creare versioni più precise e mirate di questi batteri “killer” come veri e propri proiettili di precisione, in grado di colpire specificamente le caratteristiche molecolari del tumore. È questo l’obiettivo raggiunto dai ricercatori della Columbia University che hanno realizzato un vaccino batterico personalizzato per combattere il cancro, descritto un paio di settimane fa su Nature.
a cura di Anna Meldolesi
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