I problemi della terapia genica sono tre: vettori, vettori, vettori. Il primo a dirlo potrebbe essere stato il premio Nobel Harold Varmus, poi tanti ricercatori hanno ripreso questo slogan che resta tuttora vero. Volendo aggiornare la celebre frase, comunque, si potrebbe aggiungere che le sfide sono tre: manufacturing, manufacturing, manufacturing. In effetti, oltre a progettare sistemi sempre più efficienti e sicuri per trasportare nei tessuti giusti le molecole necessarie a correggere il DNA, bisogna riuscire a produrli su larga scala, per poter rendere i trattamenti disponibili a un numero potenzialmente elevato di pazienti. La buona notizia è che i recenti progressi in questa direzione sono stati notevoli.
Un tumore aggressivo per il quale non esiste ancora un trattamento efficace e una terapia genica, originata da un filone di ricerca italiano, che grazie all’accordo tra due realtà - AGC Biologics e Genenta Science - sta procedendo nel suo cammino di sviluppo. Sono questi i protagonisti di una storia “made in Italy”, pervasa dall’intenso desiderio di bucare la coltre di nuvole scure che grava su parte dell’imprenditoria italiana, dando una nuova speranza alle persone affette da glioblastoma multiforme per cui oggi non sono disponibili cure risolutive. La raccontano all’Osservatorio Terapie Avanzate Luca Alberici e Sabrina Cazzaniga, rispettivamente CEO e Direttore GMP Manufacturing e Qualified Person di AGC Biologics, insieme a Pierluigi Paracchi, co-fondatore e CEO di Genenta.
Nelle fotografie pubblicate dall’Associated Press Rylae-Ann Poulin appare sorridente e felice mentre cammina, legge, corre, gioca, si arrampica e impara ad andare a cavallo: in una parola vive. Fa tutto quello che sarebbe lecito aspettarsi da una bimba di quattro anni. Solo che questa piccola thailandese non è una bambina come le altre. A causa di una rarissima patologia di origine genetica - il deficit di AADC, che comporta un’inadeguata sintesi di alcuni neurotrasmettitori - a un anno di vita Rylae-Ann non gattonava né parlava e non era neppure in grado di tenere il capo in posizione eretta. Poi la rinascita: il 13 novembre 2019 le è stata somministrata la terapia genica eladocagene exuparvovec e, da quel giorno, non ha fatto che migliorare.
Alcune parti del nostro corpo hanno la capacità di rigenerarsi abbastanza facilmente: una ferita sulla pelle si rimargina più o meno rapidamente, le fibre muscolari danneggiate si “auto-riparano” e il fegato può ricrescere dopo un’infezione o un intervento chirurgico. Ma non il cuore: quando il tessuto cardiaco subisce un danno, il corpo non è in grado di ripararlo. Se il danno è esteso, potrebbe non riuscire più a soddisfare le esigenze dell’organismo. Riparare il muscolo più importante del nostro corpo è la sfida intrapresa oggi dalla medicina rigenerativa. Un contributo alla causa viene dall’azienda BioCardia che, a fine 2022, ha annunciato l’autorizzazione da parte dell’Food and Drug Administration (FDA) statunitense per uno studio clinico di Fase I/II per testare la terapia CardiALLO, a base di cellule staminali mesenchimali allogeniche (ossia fornite da donatori), su pazienti con insufficienza cardiaca ischemica.
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