Isolare e manipolare i geni, nell’era di CRISPR e della terapia genica, può sembrare quasi scontato, ma negli anni ’60 era utopia. È stato possibile purificare e chiarire la struttura e i meccanismi di regolazione dei singoli geni grazie all’attività di ricerca di Donald D. Brown: è, infatti, il pioniere dell’isolamento genico in provetta, tecnica rivoluzionaria che ha portato alla comprensione della funzione dei singoli geni e alla documentazione delle fasi di sviluppo embrionale. Fondamentale nella ricerca, questo metodo innovativo – seguito anche da altre scoperte – ha aperto la strada alle più recenti applicazioni nell’ambito dell’ingegneria genetica e della biologia dello sviluppo. Deceduto lo scorso 31 maggio all’età di 91 anni, è stato un mentore per generazioni di biologi e il suo lavoro ha modellato la biologia moderna.
La ricerca in ambito farmaceutico è costosa e ricca di fallimenti: recenti stime riferiscono che quasi il 90% delle sperimentazioni sui farmaci non porta al risultato desiderato. L’intelligenza artificiale (AI) offrirebbe la possibilità di migliorare questo valore e, negli ultimi anni, sono diversi i farmaci progettati da un algoritmo che si muovono verso la clinica. Pur non potendo - e per fortuna - automatizzare tutto il processo, l’AI potrebbe velocizzare il processo e abbassare i costi destinati alla fase iniziale di analisi e progettazione, lasciando tempo e risorse da investire in altre ricerche. Inoltre, la tecnologia permetterebbe di capire con precisione quali pazienti potrebbero rispondere meglio al trattamento e quali no, semplificando la selezione in sede di sperimentazione clinica.
Se il rene umano ha la forma di un fagiolo, quello di una balena somiglia più a un grappolo d’uva, con tanti piccoli lobi indipendenti. Il fatto che esistano reni di questa forma è una buona notizia per la ricerca sugli organi artificiali, che un domani potrebbero aiutare a soddisfare la richiesta per i trapianti, ancora troppo alta rispetto al numero di donatori. L’anatomia dei cetacei suggerisce che tanti piccoli reni possono funzionare come due reni più grandi, ma con un vantaggio: sono più facili da produrre in laboratorio. Un team della Keck School Medicine della University of Southern California (USC), Stati Uniti, ha vinto un finanziamento di 1 milione di dollari dal Kidney Innovation Accelerator (KidneyX) per realizzare 1000 di questi mini-reni artificiali a partire da cellule staminali umane.
Come evidenziato dal retreAT, il progetto di policy shaping di Osservatorio Terapie Avanzate, la sostenibilità delle terapie avanzate - mantra di questi ultimi anni - passa anche dall’ottimizzazione della produzione di questi innovativi ma complessi farmaci. Sta infatti crescendo l’attenzione rivolta al tema del processo manifatturiero, strettamente vincolato a quello della creazione di nuovi accordi tra le startup che sviluppano un candidato farmaco e i produttori che oltre a seguirne la produzione si occupano anche di alcuni aspetti della loro distribuzione. Tuttavia, l’impennata degli studi clinici riguardanti prodotti di terapia genica e cellulare sta superando le capacità produttive dei componenti essenziali di questi processi terapeutici dilatandone i tempi di sviluppo e allungandone il cammino verso il mercato (e di conseguenza verso i pazienti).
Il nemico da temere di più è sempre quello che non si vede: questo vale tanto per alcuni tumori le cui manifestazioni cliniche si rendono evidenti solo nelle fasi già avanzate di malattia, quanto per le infezioni virali, come quelle suscitate dall’HIV o dal virus dell’epatite B che colpiscono milioni di persone nel mondo. Nonostante i progressi in campo terapeutico, non sono ancora state eradicate. In una review pubblicata sulla rivista The New England Journal of Medicine un gruppo di ricercatori dello University College e del King's College Hospital di Londra ha riassunto lo status quo relativo sia alle moderne metodiche di individuazione del virus e diagnosi della malattia, sia alle promesse terapeutiche per contenere l’infezione. Tra quest’ultime figura anche la terapia genica.
Tra il Seicento e la prima parte del Novecento l’autoesperimento è stata una pratica largamente diffusa, eticamente accetta e approvata dal punto di vista scientifico. Per comodità, curiosità, sfida, mancanza di alternative o per diventare il nome stampato sui libri di storia, scienziati e medici hanno usato questo approccio per sperimentare tecniche chirurgiche mai pensate prima, valutare gli effetti di farmaci e altre sostanze, indagare come funzionano le infezioni e scoprire nuove malattie. Se oggi la scienza si basa su studi clinici svolti secondo parametri precisi e rigorosi, e sul coinvolgimento di un numero congruo di persone per raggiungere un certo livello di standardizzazione, non molto tempo fa i dati venivano raccolti tramite l’osservazione di casi singoli (o poco più). Silvia Bencivelli - giornalista scientifica, autrice e conduttrice radiotelevisiva - accompagna il lettore in un viaggio nella storia della medicina, tra storie incredibili e divertenti e, a volte, inquietanti e sconvolgenti.
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