“La natura non fa salti”, hanno affermato molti pensatori del passato, ma i genetisti dei giorni nostri possono indicare molte eccezioni alla regola. I trasposoni sono geni mobili per eccellenza e saltano da un punto all’altro del genoma. In particolare quelli associati al sistema OMEGA, scoperto due anni fa nei batteri, si dirigono in punti di atterraggio prescelti grazie a una sorta di GpS programmabile simile a CRISPR. E ora un fenomeno del genere è stato individuato anche negli organismi con cellule dotate di nucleo, i cosiddetti eucarioti di cui fanno parte funghi, piante e animali. Il gruppo di Feng Zhang ha già iniziato a studiare al Broad Institute di Boston il potenziale di questi elementi, detti Fanzor, come strumenti di editing genomico e lo scorso 28 giugno ne ha svelato il funzionamento su Nature.
È di fine marzo la notizia di un grosso investimento – oltre 21 milioni di dollari - alla Johns Hopkins University School of Medicine a sostegno della ricerca per portare a termine una sperimentazione clinica sugli xenotrapianti sull’uomo. Gli ultimi anni hanno portato a notevoli traguardi nell’ambito dei trapianti di organi provenienti da animali nell’essere umano: gli organi di maiale, in particolare cuore e reni geneticamente modificati, sono stati i primi ad essere utilizzati in questa procedura, anche se solo in casi isolati e in condizioni particolari. Sebbene le conoscenze siano aumentate e le procedure fatte finora abbiano dato buoni risultati – nel caso dei reni su tre persone in stato di morte cerebrale e del cuore trapiantato su un ricevente vivo, che è sopravvissuto per circa due mesi – le domande sul futuro degli xenotrapianti restano. Un articolo pubblicato su Nature Biotechnology fa il punto della situazione, raccogliendo il pensiero di un gruppo di esperti sul tema.
Una ridotta percentuale di persone affette da diabete di tipo 1 hanno difficoltà a controllare i livelli di zucchero nel sangue entro i limiti della norma: i ripetuti episodi di ipoglicemia sono pericolosi per la salute e richiedono assistenza medica e, a volte, si arriva all’ospedalizzazione. Proprio per questo motivo, la ricerca di una terapia efficace è al centro dell’interesse della scienza medica, anche in considerazione del fatto che il diabete affligge ben 529 milioni di persone nel mondo (Dati 2021, fonte: The Lancet). La terapia cellulare sperimentale donislecel (nome commerciale Lantidra) ha recentemente dato esiti positivi nei primi pazienti trattati e la Food and Drug Administration (FDA) ha deciso di concedere l’approvazione per il suo utilizzo negli Stati Uniti.
L’universo delle terapie a base di cellule CAR-T è in perenne espansione. E non in una bensì in tutte le direzioni dello spazio: sul piano delle ascisse, con l’aggiunta di sempre nuovi prodotti destinati a varie patologie che ampliano la gamma a disposizione degli oncologi, e su quello delle ordinate con lo spostamento delle CAR-T dalle linee di trattamento più avanzate sino a quelle più vicine al momento della diagnosi. Quest’ultimo caso è quello di lisocabtagene maraleucel (liso-cel, nome commerciale Breyanzi), che la Commissione Europea ha recentemente approvato per il trattamento di pazienti affetti da linfoma diffuso e linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B, linfoma a cellule B di alto grado e linfoma follicolare di grado 3B. Tutti in recidiva entro 12 mesi dal completamento della chemio-immunoterapia di prima linea o ad essa refrattari.
Non sono rari i casi di terapie geniche precipitate nel baratro del ritiro in seguito alla discussione dei prezzi di rimborso, o in procinto di cadervi per problemi di sostenibilità economica. In ordine di tempo, l’ultimo caso ad aver suscitato accese discussioni - anche se non per problematiche di sostenibilità - è quello di lenadogene nolparvovec, la terapia genica sviluppata da GenSight Biologics per pazienti affetti da neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON) portatori della mutazione 11778/ND4. Osservatorio Terapie Avanzate ha analizzato gli aspetti peculiari di questa situazione con l’aiuto del prof. Valerio Carelli e della dott.ssa Chiara La Morgia, presso l’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche (ISNB), Ospedale Bellaria - Università degli Studi di Bologna.
L’avvento delle terapie a base di cellule CAR-T ha segnato un cambio di paradigma nel percorso di cura di alcuni linfomi recidivanti o refrattari alle terapie, per i quali - prima delle CAR-T - non c’erano altre soluzioni terapeutiche al di là della chemioterapia di salvataggio. Con tassi di risposta eccezionali per il mondo dell’oncologia, le CAR-T hanno allungato l’elenco dei trattamenti disponibili per queste malattie riservando ai pazienti una nuova opportunità di cura. Tuttavia, un interrogativo ancora aleggia intorno a tali innovative terapie ed è legato alla durata del loro effetto: definitivo o a scadenza? Fornire una risposta non è semplice ma in una review pubblicata sulla rivista Nature Reviews Clinical Oncology sono stati analizzati diversi elementi utili alla discussione.
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