Quando ci tagliamo, mettiamo un cerotto: protegge la ferita e aiuta la pelle a guarire. Ma cosa succede quando a “ferirsi” è il cuore? Dopo un infarto, il muscolo cardiaco non si rigenera: al suo posto resta una cicatrice che lo rende meno elastico e meno efficiente nel pompare il sangue. In questi casi, un semplice cerotto certo non basta. Un “biocerotto” fatto di cellule staminali potrebbe aiutare a riparare il danno, almeno temporaneamente. È quello che è stato tentato su una donna di 46 anni con insufficienza cardiaca: l’innesto di cellule staminali ha mantenuto stabile il suo cuore per tre mesi, il tempo necessario per ricevere un trapianto. Non solo i “cerotti” erano rimasti in sede, ma avevano anche formato vasi sanguigni per il trasporto di ossigeno e nutrienti. Il caso è stato pubblicato su Nature da un team tedesco.
Si tratta dell’ultimo strumento messo a punto dalla Mammoth Biosciences, la società biotech fondata da Jennifer Doudna, una delle due scienziate premiate con il Nobel per l’invenzione di CRISPR. I primi esperimenti fatti per dimostrarne il potenziale sono stati descritti su bioRxiv sotto forma di preprint, cioè di bozza non sottoposta a revisione dei pari. Ma hanno immediatamente attirato l’attenzione della comunità scientifica e della rivista Science. Rispetto al modello standard di CRISPR, che usa l’enzima Cas9 originario del batterio Streptococcus pyogenes, questa nuova variante è miniaturizzata. Subito ribattezzata NanoCas, ha già dimostrato di poter lavorare bene dove la classica Cas9 fatica a spingersi, come nei muscoli di topi e scimmie.
Nonostante i significativi progressi nella gestione dell'HIV attraverso la terapia antiretrovirale (ART), l'eradicazione completa del virus rimane una sfida. Il principale ostacolo è rappresentato dai cosiddetti "reservoir" di cellule T CD4+ infette in cui il virus persiste in uno stato latente, sfuggendo sia alla terapia che al sistema immunitario. Recentemente, nuove strategie terapeutiche, come le molecole bispecifiche basate sul recettore delle cellule T (TCR), stanno emergendo come potenziali soluzioni per eliminare queste riserve virali e avvicinarsi a una cura funzionale dell'HIV. Un articolo pubblicato a gennaio su Nature Biotechnology racconta questa recente innovazione.
Le cellule CAR-T segnano un nuovo traguardo nella terapia oncologica pediatrica. Ancora una volta l’eccellenza è italiana, con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, centro di riferimento per queste terapie avanzate, come protagonista. Un innovativo trattamento con cellule CAR-T allogeniche - derivate da donatori, a differenza delle versioni autologhe ottenute prelevando i linfociti T dal paziente stesso - ha acceso una speranza per i piccoli pazienti colpiti da neuroblastoma, il tumore solido extracranico più comune nei bambini. Una recente pubblicazione su Nature Medicine mostra risultati sono promettenti: di cinque bambini trattati, affetti da neuroblastoma refrattario o recidivante e che non avevano ottenuto benefici dalle terapie precedenti, tre hanno raggiunto la remissione completa e uno ha mostrato miglioramenti significativi.
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